Il Blog
ringrazia e consiglia:
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Museo Geologico Giovanni Capellini
Via Zamboni, 63 - 40127 Bologna - Tel. 051 2094555
www.museocapellini.org
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La
rivista culturale: "Il
Salotto degli Autori" (
http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria
"Carta e
Penna"
www.cartaepenna.it
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SI RINGRAZIANO PER LA GENTILISSIMA COLLABORAZIONE:
LIBRERIA MONDI NUOVI
Dove i Libri e i Fumetti diventano.. da collezione!
Libreria Mondi Nuovi: da oltre 30 anni il luogo giusto
dove trovare tutto l'usato per Libri e Fumetti, a Bologna e Provincia
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Libreria -
Galleria
IL SECONDO RINASCIMENTO
Via Porta Nova 1/A (ang. via C. Battisti) - Bologna
ROMANZI - SAGGI - TESTI UNIVERSITARI
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Opus
Dei, il segreto dei soldi
Autori:
Angelo Mincuzzi, Giuseppe Oddo.
Genere:
attualità, cronaca, storia contemporanea.
“Dentro i misteri dell'omicidio Roveraro”, questo
il sottotitolo del romanzo che è da poco uscito in tutte le principali librerie
e che, esattamente come altri omologhi, promette rivelazioni di varia natura
sull'Opus Dei, cioè la Prelatura della Santa Croce, fondata nel 1928 dal
sacerdote spagnolo Josemarìa Escrivà de Balaguer, oggi Santo, e canonizzata
prelatura personale nel 1982.
Poiché
è un argomento di stringente attualità, come mio solito, dedico una rapida
lettura antecedente al testo, alle note bibliografiche, per verificare cioè di
quali citazioni gli Autori si siano avvalsi. Colpisce immediatamente che, oltre
il 50% dei testi in questione sono di recente pubblicazione, più o meno a
partire dal 2001, mentre la stragrande maggioranza hanno un impronta
dichiaratamente critica verso l'Opus Dei.
Premesso questo, bisogna distinguere questo romanzo in
tre fasi, nella prima gli autori analizzano, con piglio giornalistico,
l'omicidio di Gianmario Roveraro, un finanziere molto noto fra gli anni 70 e 90,
considerato ai vertici della struttura dell'Opus Dei in
Italia.
Nella
seconda parte, quella centrale, c'è una lunga analisi delle principali
operazioni finanziarie cui Roveraro ha presto parte, in oltre un ventennio di
attività.
In
ultima analisi c'è un approfondimento, anche dal tenore conclusionale, sulle
attività finanziarie ed economiche dell'Opus Dei con particolare attenzione alle
proprietà immobiliari e alla struttura di “governance”
societaria.
Le
premesse quindi erano interessanti, la possibilità cioè di leggere un romanzo
che, partendo da un episodio di cronaca nera, ampliasse il proprio raggio
d'azione attraverso un indagine storica e scientifica circa i contenuti
dell'Opera; purtroppo, il risultato è assai
deprimente.
Anzitutto, corre l'obbligo di precisare che mi pare sia
venuto meno il rispetto per il dolore dei Famigliari della vittima che è stata
dapprima rapita, poi segregata e infine uccisa; il cui corpo è stato fatto a
pezzi a scopo di occultamento.
Una
vicenda quindi umanamente straziante che di per sé giustificherebbe la giusta e
decorosa riservatezza domandata dalla Famiglia. Non un mistero o un enigma,
bensì semplicemente la volontà, che a tutti noi appartiene, di vivere in modo
personale il dolore per la perdita di una persona
amata.
Il
processo ha sentenziato un colpevole, con una confessione piena. La magistratura
ha svolto il suo dovere, tanto nelle indagini quanto nella sentenza motivata,
con la quale sono state comminate le pene, come stabilito dalla legge penale, in
ragione della natura del reato e tenendo altresì conto della personalità del reo
confesso.
Perchè,
quando la giustizia funziona ed è come tutti i Cittadini vorrebbero, cioè equa,
rapida, ma precisa, non va bene tanto quanto nella circostanza opposta, in cui
sembra la macchina della giustizia non perseverare
abbastanza?
La tesi
di fondo che gli Autori ci propongono è che il finanziere Roveraro era troppo
esperto per aver aderito ad un operazione spregiudicata, posta in essere da due
blandi truffatori, nemmeno troppo abili che promettevano una fortuna investendo
poco, una cifra evidentemente ed eccessivamente alta, rispetto ai capitali
impiegati.
Secondo
gli Autori c'è dell'altro, qualcosa di misterioso: una spiegazione che inseguono
pagina dopo pagina, esplorando ambiti, circostanze e ambienti, solo,
paradossalmente per concludere con il concetto che “siccome non hanno trovato
nulla, bisogna andare oltre”. Ma questa sofisticazione, per quanto appassionante
si smentisce da sola e per certi versi banalizza l'indagine giornalistica
stessa, esponendola pesantemente sul fronte della critica ben oltre il diritto
di cronaca.
Consapevoli di questo, va dato atto del fatto che gli
Autori, nella prima pagina della seconda parte del libro, assumono una posizione
in proposito cioè spiegano le ragioni del loro
convincimento.
Rimanendo per adesso sulla prima parte, emerge anzitutto
una verità, a mio avviso rilevante. Non è detto che Roveraro sia stato
effettivamente un finanziere. Sicuramente era un giovane appassionato dell'alta
finanza, negli anni 60, quando la stessa era un salotto privato ed autogestito
da norme preclusive. Un giovane di talento, che univa la passione con l'audacia
e che ebbe la possibilità di approfondire i propri studi negli Stati
Uniti.
In
quegli anni, la finanza americana era circa un ventennio avanti alla nostra, ciò
significava che quel che da loro stava accadendo sarebbe arrivato, dopo, anche
in Italia, quindi è ovvio che quanti avevano la possibilità di informarsi, a
diretto contatto con quel mercato, in un certo senso viaggiavano nel
futuro.
Roveraro conobbe negli USA i fondi di investimento che
oggi per tutti noi sono prodotti finanziari molto comuni, ma all'epoca erano
sconosciuti. Però capì che sarebbero giunti in Itali, prima o poi, e in un
economia capitalistica vale la regola: “chi prima arriva meglio
alloggia”.
Non è
un caso che i primi significativi passi lavorativi il Roveraro li fece nel 1964
e che solo nel 1984 i fondi di investimento presero campo. E lui ebbe un grande
successo proprio grazie a quest'ultimi: fu al centro di operazioni di raccolta e
reinvestimetno di capitali, per il tramite di società che si occupavano dell'uno
e dell'altro aspetto, all'interno di un medesimo gruppo o in rapporto con
altri.
Il
Roveraro che emerge dalla ricostruzione degli eventi legati alla sua vita
finanziaria sembra più un trader, un broker, un market maker (figura sconosciuta
al mercato degli investimenti Italiano) e un manager, come in effetti è stato
professionalmente per buona parte della vita. Ma non un finanziere, perlomeno
“puro” del tipo cioè che oggi è identificato dalla stampa e così come viene,
professionalmente inteso dal pubblico e come l'utilizzo del termine, in quanto
tale, potrebbe suggerire. Era un uomo intelligente che sfruttava le leve
finanziarie del mercato borsistico per massimizzare i guadagni ed ottimizzare i
capitali gestiti.
Il
termine finanziere pertanto ingenera una falsa aspettativa nel lettore e gli
Autori non lo definiscono correttamente, essendo pertanto lecito supporre che i
contorni del medesimo potrebbero essere un pò scarni o quantomeno non così
definiti come si vorrebbe lasciare ad intendere.
Nel
secondo capitolo del romanzo il meccanismo narrativo è simile a quello usato in
una considerevole moltitudine di testi contemporanei che si occupano di presunti
aspetti scandalistici, fra il giornalistico ed il
giudiziario.
Si
tratta di offrire al lettore un vero e proprio arcipelago di nomi, alcuni, in
prevalenza, di persone e altri di società.
Il
sistema è quello dell'accostamento.
In
pratica, si suole affermare: “Tizio, era fra l'altro socio della società Alfa,
nel cui consiglio di amministrazione, figuravano anche Caio, che poi ebbe a che
fare con la società Beta su cui pendono indagini di vario genere, e Sempronio
già indagato anni addietro per il reato tal dei tali, e successivamente buon
amico di Mevio che ebbe a che fare con la realtà ecc. ecc.” Non sfuggirà al
lettore più attento che questo meccanismo ampliativo, cerca costantemente di
mettere in risalto le indagini o il malaffare di persone più o meno note, ma non
tocca minimamente Tizio.
Per due
ragioni: la prima riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa, da cui ogni
buon giornalista prende debitamente le distanze, mentre la seconda invece è per
il più banale motivo, che non c'è nulla a carico di
Tizio.
Il che
è esattamente quello che ad una attenta e minuziosa lettura emerge dal contesto
di questo romanzo: Roveraro era un uomo onesto.
Il
fatto che, per il ruolo di primissimo piano rivestito all'interno di importanti
case d'affari abbia incontrato persone, alcune delle quali, prima o poi, abbiano
avuto disdicevoli vicende giudiziarie, non influenza il buon nome del
Roveraro.
E non
influenza nemmeno quello dell'Opus Dei, perchè nel dettaglio, andando cioè a
controllare nome per nome, è una percentuale minima di soggetti legati all'Opera
quella che, ipoteticamente, è tacciabile di censura su episodi di finanza:
numericamente, rispetto agli aderenti, parliamo di meno dello
0,25%!!!
Del
resto, sarebbe come pretendere che taluno, prima di stringere la mano ad uno
sconosciuto gli domandasse il casellario giudiziario o perlomeno facesse
svolgere indagini sul suo conto, ma in Italia c'è ancora la presunzione di non
colpevolezza e a me, come forse a tanti lettori, piace pensare che l'amicizia o
la stima si possano sviluppare, anche non necessariamente per questioni
lavorative come tale, non posso e non voglio essere giudice, giuria ed esecutore
di alcuno.
E'
quindi imbarazzante e fastidioso scorrere le pagine di questa seconda parte del
romanzo e ripetutamente accorgersi che oltre il fumo, davvero tanto, non c'è
sostanza.
Di
questo gli Autori forse sono consapevoli ed ecco che, di tanto in tanto,
emergono dei sottoparargrafi dove il meccanismo dell'assimilazione e
dell'ampliamento si massimizza, arrivando all'immancabile “Dell'Utri con annesso
Mangano e ovviamente Silvio Berlusconi” passando poi attraverso delle vere e
proprie giustificazioni sul comportamento capitalistico e opportunista degli
aderenti all'Opus Dei, che troverebbero conferma negli scritti di Sant'Escrivà
de Balaguer.
Le
prime elucubrazioni, per quanto possano interessare certuni lettori, non
c'entrano assolutamente nulla con l'omicidio Roveraro, che dovrebbe essere il
tema centrale della narrazione.
Quanto
alle seconde, invece, io ho contato, nel romanzo, tre frasi estratte dal testo
“Cammino” di Escrivà a giustificazione delle posizioni suggerite dagli
autori.
Dissento su questo metodo.
Il
testo di Escrivà (cui per completezza ne seguono altri due), contiene una serie
di affermazioni molto estemporanee, quasi aforismi, massime, pensieri, o forse
meglio sarebbe, riflessioni dell'uomo religioso, che conosce la vita e la
interpreta, attraverso la santificazione del lavoro e della quotidianità. Sono
frasi intense, cariche di emozioni, che suggeriscono, nel loro insieme, un
atteggiamento rivolto alla rettitudine e all'attenzione per i sentimenti umani,
quegli stessi che spesso generano nelle persone dei conflitti da cui
scaturiscono sofferenze e alienazioni.
Non a
caso il testo d'intitola “Cammino” perchè lo scopo sembra quello di tracciare un
percorso rivolto alla scoperta di un identità di quell'Io che può essere
magnifico e grandioso se devoto al concetto d'amore cristiano per la
vita.
Testi
analoghi, per scopi e intendimento, sono pubblicati da molti Autori che hanno
fatto la storia delle religioni e dottrine filosofiche, teologiche e più in
generale, di pensiero.
E'
ingiusto e poco corretto banalizzare, in maniera irriverente, quello che ha
scritto Escrivà, svuotarlo cioè del gusto e del sapore di un esperienza; si può
certamente non condividere, ma è spaventoso il fatto che manchi il rispetto
verso la diversità, anche di pensiero.
Quindi,
a parte un enorme numero di nomi e cognomi di quelli che sono stati circa 100
personaggi notissimi alla finanza, alla politica e all'economia nostrana,
partendo da Gardini e finendo con Andreatta, in questa seconda parte del testo
non ho rinvenuto grandi scoperte o sofisticazioni relative al tema base
dell'omicidio Roveraro.
La
parte più interessante riguarda alcune interviste di personaggi che hanno fatto
la storia silenziosa della finanza bancaria e dal cui resoconto emerge però una
raffigurazione del Roveraro molto onorevole, rinomata, riservata certo, ma anche
estremamente semplice, che si contrappone a quell'alea di mistero che gli Autori
invece sembrano inseguire, senza mai trovare.
Altresì
interessante è la sua storia professionale, dalla società Sige, alle grandi
raccolte del risparmio gestito fino alle scalate che hanno attaccato alcune
roccaforti della finanza Italica, specialmente quelle della galassia Mediobanca,
con la contrapposizione a Enrico Cuccia (l'unica intervista mancante che a mio
avviso sarebbe stata assai gradita).
Riassumendo, nella prima parte del romanzo, emerge il
ragionamento: “siccome Roveraro era un finanziere esperto e capace, non avrebbe
mai potuto fidarsi di questi millantatori che lo hanno coinvolto in una truffa e
poichè la procura non ha trovato nulla di rilevante, dobbiamo indagare più a
fondo”. Si può condividere o meno il presupposto, al lettore la
scelta.
La
seconda parte invece, è una pedissequa elencazione di nomi e di società,
peraltro spesso già riportata in altri testi di recentissima pubblicazione (non
a caso nelle note vengono indicati praticamente tutti) la quale mi è parsa
quantomeno indifferente al tema centrale della
narrazione.
L'ultima parte del romanzo è invece obiettivamente la
più interessante, nel leggerla mi sono anche chiesto se non fosse in effetti la
ragione della pubblicazione in sé considerata. Tuttavia, anche questa non ha
nulla a che spartire con il Roveraro, se non qualche temerario aggancio alle
persone che frequentava e che appartenevano
all'Opera.
Siamo
qui in presenza del lavoro d'indagine giornalistica che ha preso di mira le
proprietà immobiliari dell'Opus Dei.
La
ricostruzione offerta è degna di nota ed interessante. Il lavoro d'indagine è
indubbiamente stato compiuto con quella tecnica dello scribacchino che ha spesso
premiato le grandi firme del giornalismo.
Emerge
la curiosa discrasia fra quanto dichiarato dall'Opus Dei e quanto invece gli
Autori ritrovano: un vero e proprio arcipelago di proprietà, gestite attraverso
un meccanismo atipico che prevede il coinvolgimento diretto di Associazioni no
profit, Onlus e Fondazioni.
Se le
cifre fossero confermate (va sottolineato che gli Autori non hanno pubblicato,
come usualmente si è soliti fare, copie di documenti autentici in calce al
romanzo) ciò significherebbe che, in poco più di mezzo secolo, l'Opera è
riuscita a costruire in Italia e non solo, un impero
immobiliare.
In
questa terza parte l'Opus Dei viene descritto come una vera e propria macchina
capitalistica per accumulare ricchezza, tramite testamenti degli iscritti,
contributi pubblici, donazioni di appartenenti devoti che ricoprono le più alte
cariche imprenditoriali e bancarie.
Emerge
un emiciclo di potere, quasi una sorta di elité interna di cui non tutti gli
aderenti hanno cognizione e forse non tutti hanno la possibilità di
accedere.
Curiosa
e interessante la motivazione offerta dagli Autori sul perchè l'attività di
proselitismo dell'Opus Dei si concentri su alcune figure professionali,
specialmente di professionisti legati al panorama legale – commerciale.
Questa
terza parte, più tecnica e meno valutativa, è sicuramente di agevole e
coinvolgente lettura.
Tornando tuttavia, al tema centrale, e cioè Roveraro,
quello che emerge, nel complesso, dalla sua personale carriera e da aspetti
caratteriali che la maggioranza degli intervistati dichiara è un uomo casto,
moralmente attento, fiducioso e appassionato, ma anche a volte affetto da quella
semplicità un pò credulona che è tipica degli uomini di fede e di
Chiesa.
Dobbiamo infatti pensare che l'Opus Dei, in quanto
prelatura personale, ha delle regole, che si possono condividere o meno, ma non
dovrebbero meravigliarci, in quanto l'adesione e la condivisione impone anche il
rispetto della natura associativa e consociativa. Questo crea un percorso di
amicizia e per effetto di conoscenze, spesso accomunate dal minimo comune
denominatore della medesima religiosità. Non v'è alcunché di strano se persone
vicine, per intendimento e introspettiva conoscenza, tendano a fidarsi gli uni
degli altri.
Questo
capita ovunque, e in tutti i settori, con ogni passione, sia essa hobby,
attività e impegno.
Le
persone si trovano, si piacciono, si fidano.
Ovviamente, l'Opera è un aggregazione che parte dal
profondo, perchè si condivide la missione religiosa come voluta dal
fondatore.
Orbene,
sociologicamente, questa ipotesi può avere un effetto diverso ed opposto: può
infatti paradossalmente unire tanto quanto isolare. Se gli appartenenti ad un
movimento si trovano così bene fra loro e giudicano a tal punto appagante un
sistema fatto di persone e di pensiero, da isolarsi rispetto alla realtà
circostante, se ne perde quella cognizione, che è tipica del senso
comune.
In
buona sostanza, quando ci si rapporta alla giungla metropolitana, al di fuori
degli schemi conosciuti, si corre il rischio di peccare di ingenuità. Il
concreto rischio è che quel che si dice, si fa o si pensa, venga percepito da un
universo sociologico diverso e sconosciuto, in modo del tutto anomalo ed
imprevedibile.
E'
quindi possibile che Roveraro sia stato vittima delle sue convinzioni e della
fiducia che ha riposto, ingenuamente, nel prossimo, in persone che poi l'hanno
tradito e condannato.
Questa
è l'ipotesi più plausibile, che peraltro le carte giudiziarie del processo non
smentiscono, ed è bene rammentare che a volte la semplicità coincide con la
verità.
Meritano infine menzione, due temi trasversali che nel
testo ritornano a più riprese, in tutte e tre le parti ed in diversi sotto
paragrafi.
Il
primo è quello dell'apostolato, cioè la necessità degli aderenti all'Opus Dei di
fare proselitismo, cercando, in base a quello che emerge dalla lettura, di
agganciare persone che abbiano o si stiano costruendo posizioni di peso nella
società allo scopo di introdurle nell'Opera.
Il
rischio di cui si legge è in effetti quello che l'Opera, vista e considerata un
gruppo di interessi e di potere, possa stimolare o provocare una simulazione o
dissimulazione in quanto, cercando il profitto per sé o altri, taluni si
avvicinino con uno spirito capzioso, senza il dovuto rispetto e la
consapevolezza emotiva del cammino interiore e sopratutto religioso. Individui
senza scrupoli che, tramite la loro abilità, riescono a sfruttare l'Opera per
guadagnarsi credito e potere materialista, costoro corrono il rischio di
rappresentare un pericolo per i crismi della libertà costituzionale e per l'Opus
Dei stesso.
Del
resto non bisogna mai sottovalutare la natura umana, e su questo argomento
sensibile, indubbiamente l'alto grado di riservatezza non aiuta. In buona
sostanza, non essendo chiaro quale sia il metodo di avvicinamento e le
valutazioni che stanno a monte di una sorta di considerazione preliminare alla
frequentazione degli ambienti e delle persone legate all'Opus Dei, non è nemmeno
facile intuire se tale meccanismo possa rivelarsi il classico
boomerang.
Il
secondo argomento che ritorna spessissimo riguarda la Massoneria. Gli Autori ne
fanno di tutta l'erba un fascio, limitandosi a tratti a distinguere quella
Internazionale che coinciderebbe con la Gran Loggia Unita d'Inghilterra e quella
tutta Italica del Grande Oriente d'Italia. Gli Autori riportano passaggi dai
quali emergerebbe che Roveraro era ossessionato dalla Massoneria e la
considerava una sorta di problematica, un impasse, certamente avendone una
visione negativa, ma non si comprende se per questioni affaristiche o di vero e
proprio intendimento frutto di convinzioni personali.
Di
fatto, l'organizzazione dell'Opus Dei è attenta e perentoria a smentire
categoricamente qualsivoglia assimilazione con le Logge massoniche. In
particolare, rifiutano l'ipotesi di essere, com'è stato detto: “una massoneria
cristiana” (affermazione del superiore generale dei
Gesuiti).
Come
pure, è altrettanto perentorio il rigetto di qualunque punto di contatto con la
Massoneria.
Gli
Autori tuttavia, offrono un altro punto di vista, propendendo cioè per la tesi
che vuole una compresenza, negli anni 80 e sopratutto 90, di massoni fuoriusciti
dal Grande oriente, dopo lo scandalo P2, e confluiti direttamente nell'Opera.
Il
lettore più scevro da preconcetti, dopo una simile lettura potrebbe interrogarsi
su che genere di indagini gli appartenenti all'Opera sono in grado di compiere
relativamente a chi, a loro avviso, potrebbe essere “un possibile” massone e
quali contromisure siano, taluni, in grado di adottare, magari proprio quelli
più ossessionati dalla contrapposizione con la Massoneria.
E'
possibile che uomini di potere tentino di stroncare lavoristicamente o
professionalmente, individui solo per la loro presunta appartenenza? E' un
inquietante quesito su cui permangono delle zone
d'ombra.
Ovviamente, gli Autori espongono le loro congetture,
spesso con toni molto illativi, lasciando cioè che il dubbio serpeggi più come
elucubrazione spontanea del lettore piuttosto che come una vera e propria trama
ordina dai contenuti della narrazione. Ciò accade perchè si concentrano
nell'esaltare il lato sospettoso di ogni questione legata all'Opera, senza
consentire il contraddittorio ed è certo questo un elemento che deve far
riflettere perchè si pone come un grave limite alla plausibilità ragionevole e
logica di quello che viene proposto come possibile e realistico, laddove invece,
si tratta di una presa di posizione evidentemente di parte, sicuramente
invasiva.
“Opus
Dei, il segreto dei soldi” è un libro strettamente consigliato solo a coloro che
sono già convinti di alcuni elementi di forte critica nei confronti dell'Opus
Dei e come tale, avendo un giudizio negativo in proposito, vogliono solo trovare
conferme a prescindere dal realismo. Non è un testo rivelatore per quanto
riguarda l'omicidio Roveraro, e non svela alcun enigma nel mistero relativo alla
sua vita professionale e ancor meno di quella spirituale. E' scritto in maniera
spesso confusionale, con un eccessiva e prolissa spendita di nomi che rendono
difficilissimo al lettore orientarsi. Un testo poco realistico e scarsamente
documentato, che a tratti diventa molto capzioso, strumentale, spesso non
rispettando i limiti e la demarcazione necessaria fra diritto di cronaca e
critica vera e propria.
NOTA
dell'Autore:
La
presente recensione tratta argomenti che si rinvengono dalla lettura del libro
“Opus Dei, il segreto dei soldi” e come tale parte dal presupposto offerto, sui
medesimi, dagli Autori del testo. Ciò non toglie che sugli stessi argomenti si
potrebbe disquisire secondo diversi punti di vista, nel momento in cui la
materia fosse svincolata da una valutazione a mò di opinione, legata ad una
pubblicazione.
Le
valutazioni espresse possono sembrare a tratti favorevoli all'Opus Dei, dando
l'impressione al lettore che si sconfini in una sorta di difesa d'ufficio, a tal
proposito, onde fugare ogni sospetto in proposito, l'Autore di questa recensione
non è membro dell'Opera a nessun titolo e/o grado, ne lo è mai
stato.
Marco Solferini
Marco Solferini
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