giovedì 29 novembre 2012

Notti di guardia

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Notti di guardia

Autore: Giuseppe Naretto
Genere: giallo, drammatico



«Notti di guardia» introduce la figura del Dott. Massimo Dighera che opera in orario notturno presso il pronto soccorso ospedaliero. Fra i casi a lui sottoposti ve n'è uno che sembra rivelare un mistero, apparentemente celato dietro un banale incidente automobilistico.

Un indagine quindi prende campo, senza i modi o lo stile tipici dell'esperienza, passando invece attraverso aneddoti, persone e circostanze. Il Dott. Dighera scoprirà una verità nascosta o semplicemente si ritroverà ad aver fatto i conti con la propria immaginazione?

L'indagine è il tema centrale della narrazione o almeno così vorrebbe essere, ma purtroppo nasce da una situazione così rituale che sembra più che altro una sorta di copione già scritto, tipicamente elaborato per la puntata di un telefilm e la cui ripetizione rappresenta una nota stonata. Fuori posto.

L'anamnesi dello status esistenziale del medico è un misto di rassegnazione repulsiva e di riflessioni esistenziali. Egli ammette l'eccezione, ma teme che possa diventare la regola.

L'uomo quindi, prima ancora che il medico, tenta di evadere da una prigione senza sbarre, entro la quale le ossessioni sono simili a pulsioni: attrazioni scevre da compromessi e come tali destinate a scivolare via, come la pioggia nell'acqua di un fiume.



I periodi dell'esposizione narrativa sono coerenti, ma anche fortemente ripetitivi: rafforzativi del medesimo focale punto di vista soggettivo. Siamo in presenza di una dissonanza cognitiva fra ciò che «sente» l'Autore e che sicuramente viene da pensare sia profondamente variegato come un eterno conflitto radicato nell'anima, e quel che riesce effettivamente a trasmettere al lettore.

Il risultato è un azione presente che fagocita l'ambientazione e ne rumina pedissequamente il contenuto, come una metastasi, trasmutandolo a sua immagine.

L'indagine esce svilita e finisce per diventare un veicolo poco appassionante e parecchio scontato. Il cui svolgimento alla fine è un annichilimento della morale obiettivamente senza senso e artisticamente in deficit rispetto alle attese.

I personaggi sono poco sviluppati e risultano molto caricaturali.

Manca un elemento focale più argomentativo che leghi le numerose anime di quest'opera e che consenta al lettore di potercisi calare dentro.

La scelta di una freddezza e sterilità esplicativa si risolvono in una disarmonia nell'eccesso di descrizioni, a discapito dei dialoghi di cui spesso si sente la mancanza stante il ritmo assai lento.



«Notti di guardia» è un romanzo potenzialmente interessante, ma sviluppato male. Con numerose negligenze che tuttavia non tolgono il fatto che sia ben scritto (l'Autore ha talento), ma ci sono troppi limiti che sarebbero dovuti essere eliminati dopo la prima stesura. L'editing dell'opera è stato impostato male.

Marco Solferini
marcosolferini.pubblicazioni@gmail.com
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domenica 25 novembre 2012

L'invisibile

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L'invisibile

Autore: Pontus Ljunghill
Genere: Thriller


Il commissario John Stierna si è ritirato dalla polizia criminale di Stoccolma e vive in un paesino di nome Visby.

La sua routine è interrotta dalla visita di un giornalista freelance, tale Gronwell, che sta scrivendo un articolo sui vecchi casi irrisolti. Vecchie indagini; vecchi nomi che riportano Stierna ad un passato, una vita così diversa rispetto a quella attuale. Anche per via del fatto che negli anni dei ricordi c'è un amore oggi sciupato: Karolina, l'ex fidanzata.

Ma c'è anche un altro nome che lo tormenta da sempre: Ingrid Bengtsson, figlia di Maria, una bambina di appena 8 anni ritrovata morta ammazzata nel cantiere navale abbandonato di Djurgarden da un alcolista vagabondo.

Fu l'inizio di un indagine per l'astro nascente della polizia, il giovane e promettente commissario Stierna, un indagine che dopo 25 lunghi anni non ha portato a nulla, se non all'attesa di una ormai inevitabile prescrizione. Di lì a pochi giorni.

Il concetto di «invisibilità» è qui un anonimato apparente che si esprime nell'ottica più concettuale dell'iterazione fra persone. La mancanza della quale emargina il soggetto, lo trasforma in modo kafkiano, ruminandolo e rigettandolo.

Di qui il concetto che permea tutto il romanzo, relativamente all'assassino: esserci, ma senza lasciare traccia.

Siamo in presenza di un esposizione narrativa cadenzata da un ritmo lento, focalizzato sull'azione dei personaggi. Un ambientazione meticolosa che nel tempo passa da un osservazione centralizzata sulla microdefinizione ad una ingigantita.

Emerge e prende forma una ricerca che diventa via via più utopica, rifiutando i limiti posti dal realismo. La correttezza dell'indagine di Stierna si scontra con l'assoluta incapacità della medesima di penetrare il mallo dell'invisibilità/inconsistenza.



Le motivazioni sottese all'omicidio sono futili, utili al genere di narrazione, ma del tutto banali per come costruite.

Fin troppo scontato e decisamente già noto il percorso sul passato dell'assassino.

Interessante la centralità del «caso» in contrapposizione alla logica deduttiva dell'indagatore qui privato della genialità, che si affida alla metodologia empirica, ma questa tematica è sviluppata male, in modo tardivo e con un fatalismo deprimente.

Il finale è drammaticamente monotono, per niente originale, facilmente intuibile (esattamente come l'uscita di scena dell'assassino).

Dal punto di vista espositivo, la stesura del romanzo soffre dell'assenza di un analisi logica dei periodi espositivi più paratattica e meno argomentativa, il che comporta una leziosità angosciante e stancante. Il lettore, in pratica, sa già cosa lo aspetta, deve solo capire il «come», ma tutto si svolge sempre dentro gli schemi e ritengo anche in modo assai poco affascinante.

«Si vuole essere amati; in mancanza di questo ammirati; in mancanza di questo temuti; in mancanza di questo detestati e disprezzati. Si vuole suscitare negli uomini, un sentimento di qualche tipo. L'anima rabbrividisce dinanzi al vuoto». Ritengo che questa citazione abbia fortemente ispirato l'aspetto sociologico del protagonista killer, ma non ne abbia consentito quel salto di qualità psicoanalitico che avrebbe potuto elevarlo al di sopra di una caricatura banale, schiacciata tra la consuetudine e l'inconsueto. L'assassino non ammalia. Non affascina. Non seduce o appassiona il lettore.

I dialoghi si alternano troppo con il corpo descrittivo dando l'impressione di non essere autonomi (mentre invece riuscirebbero ad esserlo con maggior sintesi).



«L'invisibile» è un romanzo costruito attorno ad un idea: un tentativo riuscito complessivamente male. Consigliato solo agli amanti del thriller che ne leggano almeno 50 l'anno e proprio sentono di non poter fare a meno del soggetto in questione giacché non è molto percorso nell'attuale panorama editoriale.

Astenersi invece tutti coloro che amano i ritmi intensi, coinvolgenti e carichi di suspense: qui è tutto l'opposto.

Marco Solferini                                                  
                                                       marcosolferini.pubblicazioni@gmail.com
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