martedì 28 febbraio 2012

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve

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e in particolare sabato 3 marzo per "Il sabato del Capellini" il dott. Stefano Marabini terrà una conferenza dal titolo: Geologia di Hierapolis (Turchia) e la tomba dell'apostolo Filippo.
Via Zamboni, 63 - 40127 Bologna - Tel. 051 2094555
www.museocapellini.org

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La rivista culturale: "Il Salotto degli Autori" ( http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria "Carta e Penna"
www.cartaepenna.it

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IL SECONDO RINASCIMENTO

Via Porta Nova 1/A (ang. via C. Battisti) - Bologna

ROMANZI - SAGGI - TESTI UNIVERSITARI

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Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve.

Autore: Jonas Jonasson.
Genere: commedia.




Allan Karlsson è ospite nella casa di riposto per anziani di Malmkoping, nel Sormland di Svezia, e sta per festeggiare 100 anni.

Tutto è pronto per la sua festa. Ci sono le autorità locali e l'infermiera Alice, che non si può dire abbia mai sviluppato un particolare “feeling” con Allan.

Manca solo qualcosa di essenziale: il festeggiato.

Perchè lui, di lasciarsi ingozzare di torta e finti sorrisi da circostanza, mentre recita la parte del buon “nonnino” centenario, non ne ha proprio alcuna voglia.

Così, decide di uscire dalla finestra del piano terra, atterrando su di un aiuola, per poi andarsene a piedi.

Ma dove potrebbe mai arrivare un anziano signore di quell'età?

Beh.. a quanto pare Allan, ha un passato che lo ha portato a viaggiare per tutto il Mondo, a contatto con le persone più importanti dello scenario geopolitico, essendo diventato dapprima un esperto di esplosivi poi, nella fabbricazione di bombe atomiche!

La sua avventurosa vita, lo ha visto partecipe involontario degli eventi più determinanti dell'ultimo secolo.

Con audacia e un senso dell'agire razionale, ma senza alcuna pianificazione, Allan riuscirà a sottrarre una borsa piena di contanti ad un esponente del gruppo criminale noto come “Never Again”.

Durante il suo viaggio, senza una meta, incontrerà persone che condividono con lui il desiderio di cambiare vita, e mettere a frutto i propri talenti.

Si creerà così una squadra formidabile, con un ladro professionista e un quasi laureato in numerose discipline universitarie che ne fanno un “tuttologo”, cui si aggiungeranno una donna spigliata e amante degli animali con un elefantino e un cane al seguito e infine, persino un commissario di polizia disincantato dalla vita di tutti i giorni.

Circostanze fortuite, aneddoti esilaranti, situazioni ai limiti dell'assurdo, che mischiano con estrema dimestichezza atteggiamenti e coincidenze, creeranno una girandola di equivoci dove il realistico senso comune, sarà messo a dura prova.

Il lettore si divertirà e resterà piacevolmente impressionato dalle (di)savventure del gruppo.

Riuscirà la compagnia di avventurieri a riscattare un destino che sembra non essere mai veramente scritto e sempre in bilico fra labirintiche scelte e nuovi orizzonti?

Magistralmente scritto, con tonalità evasive quanto riverenti, che valorizzano il tenore tipico della dialettica nella commedia, a tratti anche buffonesca.

L'Autore, ci regala un divertentissimo e coinvolgente affresco metaforico di come la vita non sia mai veramente finita, se non di fronte all'umana volontà di rassegnarsi, e per contro, abbia sempre la capacità di sorprenderci.

Personaggi ottimamente concepiti: intelligentemente organizzati per interagire fra loro, si compensano e si esaltano a vicenda, fungendo da catalizzatori per una narrazione dal ritmo molto ben strutturato.

Piacevole, intesa, carica di sfumature che la rendono di facile esposizione e comprensione.

Il romanzo alterna le avventure di un Allan centenario con quelle del giovane, che attraversò il Mondo similarmente ad un Forrest Gump del secolo passato, restando fedele agli stimoli più basilari dell'uomo come la buona cucina, e finendo per ritrovarsi coinvolto in un esilarante girandola di equivoci, all'interno delle più importanti vicende politiche e militari della storia moderna.





Sferzante umorismo, audace ironia, e una gran dose di avventura, mescolata alla commedia, regalano al lettore un romanzo divertente e coinvolgente, “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve” è uno scritto intelligente, straordinariamente capace di far sorridere grazie ad un cordiale quanto piacevole senso critico.

                                                             Marco Solferini

sabato 11 febbraio 2012

La casa della seta

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Il prestigioso Museo, nel cuore storico di Bologna, offre oltre alle esposizioni tanti interessantissimi eventi!
Museo Geologico Giovanni Capellini e in particolare Sabato 18 Febbraio:
"La biodiversità nel Mediterraneo" a cura del Prof. Marco Taviani
Via Zamboni, 63 - 40127 Bologna - Tel. 051 2094555


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IL SECONDO RINASCIMENTO

Via Porta Nova 1/A (ang. via C. Battisti) - Bologna

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La casa della seta

Autore: Anthony Horovitz.
Genere: azione, drammatico, avventura, mistero.




Sherlock Holmes è tornato. O meglio, ritornano le cronache delle sue avventure, narrate dal fido aiutante e assistente, il Dott. John Watson.

E' inverno, in quel del 1890, nel pieno dell'inconfondibile stile di vita vittoriano; Londra, affronta una serata immersa nelle ombre, carica di nebbia e freddo. In quel del 221b di Baker Street, vicino al camino acceso, siede il protagonista in compagnia del Dott. Watson.

La loro calma apparente, è ben presto turbata da una visita: un gallerista di Wimbledon, Mr. Carstairs, in preda all'agitazione sottopone al Detective il proprio caso.

L'uomo si dice perseguitato dall'unico sopravvissuto di una violenta gang americana, che lo avrebbe inseguito fino in Inghilterra assetato di vendetta.

La vicenda, catapulta Holmes ed il suo fedele assistente in una realtà dove nulla è ciò che sembra e per il Detective “il gioco comincia”; ancora una volta la sua ineffabile logica dovrà misurarsi con le trame occulte di nemici apparentemente invisibili.

Con il tipico ed inconfondibile “aplomb” britannico, che distingue e caratterizza la saccente ed arrogante nonchalance di Sherlock Holmes, le indagini prendono il via e lo scenario muta ad ogni capovolgimento di fronte, rivelando ben presto un mistero, occulto quanto pericoloso, in grado di minare il caposaldo stesso della realtà civile e politica inglese.

Pagina dopo pagina, una trama inquietante prende forma, traendo le sue origini da un omicidio brutale, efferato, e apparentemente frutto di una crudeltà disumana. Un assassinio che sembra rimandare ad una sfida per il detective, chiamato a risolvere l'enigma di un nastro bianco e a scoprire che cosa sia realmente la “Casa della seta” e quali terribili misteri si nascondono in essa.

Inteso, avvincente, emozionante e coinvolgente: Horovitz fa rivivere il detective più famoso di tutti i tempi.

Pare irresponsabile, per non dire del tutto inutile, partire da un confronto con l'opera di Sir Arthur Conan Doyle, l'indiscusso maestro nonchè papà del metodo Holmes, il creatore, che è da molti giustamente definito inarrivabile.

Horovitz stesso, ne celebra il talento nella parte iniziale del romanzo, dichiaratamente ispirato alla sua grandiosità.

Ebbene, oggi siamo in presenza di un risultato che si distingue per la straordinaria fattura: ben riuscito, organizzato, appassionante, sicuramente criptico come lo sono le opere originarie del detective.

Ritroviamo quella dialettica argomentata, il gusto passionale per la retorica e l'applicazione logica di tutti i crismi della deduzione, osservazione, riflessione; la metodica dell'apprendimento cognitivo, figlio di un intensa elaborazione dei dettagli che Sherlock Holmes applica con la rapidità di uno sguardo.

Tornano quindi, i particolari che denotano le caratteristiche, (ri)compongono le personalità, confutando anche le tesi più pragmatiche.

Holmes è di nuovo al centro in un ambientazione gustosa e carica di pathos, dove spopola lo stile vittoriano di Londra, di un Inghilterra incantata nelle proprie contrapposizioni fra l'alta società e la povertà.

L'intensità di un racconto senza fine, che parte dal vento e arriva nel nulla, come l'immagine senza tempo di una cartolina.

Giorni di un presente che vive il ricordo del proprio passato.

La figura di Watson è perfetta. E' lui il narratore gentile e attento, che nelle sue riflessioni celebra la grandiosità di Holmes, di cui si dichiara sempre non solo un fedele aiutante, ma il più fortunato fra gli uomini, per aver avuto l'immenso onore di esserne interprete e interlocutore. La sua sconfinata ammirazione per il “grand'uomo” è un ritornello tipico della metodologia storico - espositiva delle avventure che caratterizzarono lo stile di Doyle.

Un eccentrica visione in prima persona che trascina il lettore nelle descrizioni degli ambienti, condite da quel tasso storico oggettivo e nel contempo caratterizzate dalle convinzioni soggettive del buon Dott. Watson.

Il risultato è un indagine appassionante, carica di colpi di scena, strepitosamente ben ambientata fra i quartieri vittoriani di Londra, a cavallo tra la povertà e la ricchezza, amabilmente spesa nel gergo e nelle consuetudini.

Uomini risoluti e senza scrupoli, personaggi ambigui che tramano nell'ombra, dovranno fronteggiare l'ineffabile intuito di Sherlock Holmes, l'indiscusso padrone del metodo logico deduttivo e le sue abilità nel travestimento come nella conoscenza della chimica.

Un indagine costruita con un ritmo snello, sobrio e frizzante. Mai banale, sempre dotta e coinvolgente. Irrinunciabili una serie di personaggi che popolano il mondo di Holmes, come l'ispettore Lestrade, il fratello Mycroft e l'immancabile soluzione al 7%. Camei per certi versi, che gli appassionati divoreranno con piacere, ma anche rivisitazioni e caratterizzazioni personalizzate ad uso e consumo dei nuovi lettori. E naturalmente il Prof. James Moriarty.

Perchè, ed in questo l'Autore è stato grandioso: Sherlock Holmes è un mito che non conosce tempo.

Un unica critica merita l'eccesso di ripetizioni che si presentano nel capitolo relativo al processo, e al seguente, la cui insistita volontà di ripercorrere gli eventi, sfocia in una meticolosità che segna prepotentemente il trapasso rispetto al dinamismo espositivo del precedente svolgimento.

Del resto il narratore, Watson, nel momento in cui esce di scena il suo protagonista, si abbandona ad una serie di digressioni e riflessioni che mettono in risalto la sua personalità razionale e meno avvezza alla gestione pragmatica degli eventi.

Il buon dottore è una vittima degli accadimenti, non ha la capacità di autogestirli, come invece è nella disponibilità di Holmes.

Tuttavia, il romanzo è avventuroso, ma non laborioso, intenso, ma senza appesantimenti, coinvolgente, appassionante, classico, ma innovativo, l'opera di Horovitz dona nuova vita al detective più famoso ed ineffabile della storia.

Un finale ottimamente organizzato, darà forma ad una trama originale, che lascerà esterrefatto il lettore.

Il cultore di Holmes, di vecchia data, rimarrà ammaliato e soddisfatto, colmo di piacere, divorerà le pagine e si rammaricherà della loro prematura fine. Colui che invece scoprirà per la prima volta il protagonista, ne rimarrà colpito e non potrà fare a meno di gettarsi fra le braccia degli altri racconti.





“La casa della seta” è un romanzo completo: affascinante, stilisticamente ottimo e ben organizzato. Un indagine ricca di colpi di scena, che ripropone l'inconfondibile stile di Sherlock Holmes in tutta la sua intensa ed appassionante eccentricità. Straordinarie le ambientazioni vittoriane di Londra. Un finale appassionante e coinvolgente, carico di suggestiva spettacolarità, lascerà il lettore a bocca aperta, quando l'enigma sarà rivelato!

Bravissimo Anthony Horovitz.

Romanzo assolutamente da leggere!

                                                         Marco Solferini




sabato 4 febbraio 2012

Violazione


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Museo Geologico Giovanni Capellini e in particolare Sabato 4 Febbraio:
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CeP
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IL SECONDO RINASCIMENTO

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Violazione

Autore: Alessandra Sarchi.
Genere: Drammatico.


Romanzo ambientato a Bologna. La storia è quella di due coppie, marito e moglie, l'una abbiente come genericamente viene intesa la ricchezza, poggia i propri averi sull'attività imprenditoriale di Primo Draghi, vero e proprio “pater familias”, e proprietario di una fattoria nel complesso residenziale “I cinque pini”, nonché di una seconda struttura, in affitto, a mò di podere, anch'essa poco fuori il centro città, a 6 km da quello che sembra un altro mondo rispetto alla campagna, con le sue regole, usi e costumi.

L'altra coppia, Alberto e Linda Donelli, entrambi benestanti, desiderosi di cambiare casa per andare a vivere nel “mitico” verde. Desiderato, ricercato, idealizzato.

Alberto e sua moglie, sono una coppia al giro di boa, di mezz'età; hanno fatto ciò che la società civile si aspetta da quelle persone il cui percorso di vita ad un certo punto spinge verso il matrimonio, come tappa obbligata agli “step” di carriera, nel settore pubblico come funzionario della Regione, lui e in quello medico, in qualità di ricercatrice, lei.

La casa è per loro un traguardo ulteriore, quasi il coronamento di un ciclo vitale: l'ultima pennellata del dipinto o il pezzo mancante del puzzle, per questo rappresenta un alveo di desiderio misto al realismo di una ricerca, a tratti destinata ad essere imperfetta. Come se ciò che effettivamente esistesse nelle loro teste, fosse l'intenzione, che non si concretizza.

Abituati a convivere con questa idea, la scoperta di una casa in vendita, come quella nella residenza di Primo apre ad un universo inesplorato, al quale si avvicinano con un ritrovato senso di desiderio verso il cambiamento.

Fungendo da catalizzatore quindi, il possibile acquisto li fa dapprima conoscere e successivamente avvicina due mondi, naturalizzati nelle loro differenze.

L'Autrice centralizza con una retorica compensativa lo spazio vitale che, apparentemente, deve esistere fra due forme mentali e comportamentali, distinte.

Il personaggio più elaborato e per molti versi il vero protagonista è l'imprenditore Primo, i cui principali aspetti caratteriali, ricalcano quella tipica visione “dell'animal spirit”: arrivista, cinico, ipocrita, forte di convincimenti fossilizzati nella sua personalità, meno artificiosa e più fedele ai punti di forza che gli hanno permesso di emergere nella giungla urbana.

Gli fanno da contraltare le debolezze degli altri personaggi, i quali vengono sciorinati con una metafisica sociologica, fatta di desideri e paure. In buona sostanza sono i volontari carnefici che, nella loro pedissequa ingenuità voluta, alimentano il mercato di Primo, il quale sembra una tacita conseguenza della loro superficialità e distrazione.

Le occasioni non mancano per apprezzare questa contrapposizione, ma sono decisamente troppo ricamate su un alter ego stereotipato e banale. Le scelte dei protagonisti paiono il frutto di un copione già scritto, ampiamente prevedibile. Inoltre la dialettica comportamentale svilisce, nella ripetitività ossessiva di preconcetti.

Il lettore è intrappolato in una sorta di museo delle cere che al limite stupisce ed incuriosisce nel singolo istante, ma poi si smarrisce in un arte troppo effimera e meno contemplativa delle sfaccettature umane. Il senso di smarrimento irresponsabile che si percepisce dalla lettura, si relativizza in una sorta di malnutrizione concettuale.

I singoli ambienti, dove si svolge questa narrazione, sono ricchi di un decadimento fatalista ed esistenziale, quasi corrosivo e per molti versi disfattista, perchè rinunciatario a qualsivoglia riscatto.

Le circostanze che si producono sembrano parentesi paradossali, inseguite con una pedissequa elencazione di concetti simili ad ossimori morenti, cui è difficile porre la debita attenzione, limitandosi ad una blanda elencazione di frasi e momenti infiniti, che si ricalcano, volendo sembrare un labirinto, mentre nella realistica sensazione di chi legge non appassionano, bensì annoiano.

Troppo lungo e troppo ripetitivo: una costante (ri)elaborazione per arrivare ad un concetto di fondo assai semplicistico e per nulla innovativo.

Onestamente, le tematiche affrontate quali le collusioni oramai assai note, fra i dirigenti della Regione con gli imprenditori locali, le permute di favori a mò di scambio, tra l'arrivismo del capitalista e le necessità di chi opera nel settore pubblico, sono all'ordine del giorno e non serve un romanzo per apprenderle, basta un quotidiano.

Inoltre, simili fattispecie, già si verificavano all'epoca dei “nostri” Romani, tanto nella Repubblica quanto nell'Impero, e come tale non pare verosimile che occorra oggi rielaborare la tematica in una chiave civica, cioè volendo enucleare il malvezzo come parte integrante di una normalità deviata.

Lo sappiamo già.

La cultura della coppia di Alberto e sua moglie è credibile nella stiracchiata amoralità emotiva, un sedativo per l'identità di coppia che si abbandona a tratti più rituali, come una prassi feticista, la cui adorazione consiste nell'accettazione di crismi quotidiani. Però, nel ruolo che è chiamata a svolgere per il lettore, come cavo catodico di quell'immagine che deve arrivare perchè rappresenta il messaggio di fondo del romanzo, risulta molto lontana se non addirittura inarrivabile, rispetto alla “working class” Bolognese.

Questa coppia sembra lo stereotipo di un francesismo, tipicamente organizzato del microcosmo casa - famiglia - frequentazioni - prole. Un archetipo assai noto, ma non così sviluppato, spesso anzi, riservato ad una borghesia di mezzo.

Si percepisce il senso di chiusura, e di superficialità, a tratti di voluto e consapevole smarrimento nel non saper tornare a vivere con gli occhi della mente, ma non è credibile. Non prende forma, non vive, rimane lì, sulle pagine del romanzo immortalato nell'inchiostro e il lettore al limite potrà arrivare a pensare che da qualche parte ha conosciuto qualcuno di simile.

E la sensazione è proprio questa che cioé l'Autrice si sia basata, nella descrizione, su persone che effettivamente ha conosciuto, ma che forse ha anche profondamente incompreso, perchè la trasposizione letteraria è semplicemente penalizzante, stucchevole e per effetto non appassiona il lettore, invertendone il senso critico.

Ci sono troppe pagine: lo scritto sarebbe dovuto essere sfoltito e reso più omogeneo e scorrevole, razionalizzando, innovando, donando cioè un percorso formativo a tutti questi caratteri, che invece muoiono esattamente come nascono.

La contrapposizione fra città, o meglio centro città, perchè Bologna vive una radicata distinzione fra quartieri che non è assimilabile a quella di grandi metropoli, e campagna, intesa come sotto - colli e gli stessi, celebri, colli Bolognesi, non regge.

Sembra estrapolata più da una cultura “new age” dello scorso secolo, rapportata a quel “suburb” tipicamente anglo sassone, dove accanto al centro cittadino, vive e per molti versi sopravvive, una oasi, che non è campagna e non è città. La via di mezzo. L'alternativa. Il luogo dove sono cresciute e solidificate le comunità del “verde”.

Ma a Bologna questo non si mai realmente accaduto.

Prima di tutto perchè la distanza fisica dal verde è assai limitata, e tutti i Bolognesi con il motorino prima e con la macchina poi, adorano trascorrere i pomeriggi e i fine settimana nelle nostre campagne, che non sono sconosciute, bensì amichevoli e aperte a tutti.

Inoltre, la città stessa è costellata da piccoli e medi comuni, si pensi a Casalecchio di Reno o San Lazzaro, e molti altri ancora che, se osservati con attenzione, magari anche dall'alto di un “Google Earth”, riveleranno, per estensione e attaccatura alla città, come possono benissimo considerarsi quello che, in grandi metropoli, sono i quartieri. Non abbiamo, in Bologna, Lambrate come a Milano, ma potrebbe benissimo esserlo un Comune limitrofo. E non a caso, oggi si parla di città metropolitana.

Nell'ottica della scrittrice la “city” sembra molto più popolata, ma in verità parliamo di un Comune che, negli ultimi anni, ha subito un decremento demografico, non verso la campagna, ma verso Comuni limitrofi, quasi sempre dovuto ad una scelta sulla qualità della vita.

Interessante e pregevole lo spunto ambientalista, più volte riportato nel testo, a salvaguardia in parte del paesaggio e in altra misura dei prodotti che la terra ci offre.

L'esposizione da il meglio di sé per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, e in particolare architettonici, ma che probabilmente non appassionano più di tanto il pubblico medio, a meno che l'attesa non sia rivolta a persone piacevolmente interessate o comunque istruite sulla materia.

I co-protagonisti, purtroppo, sono tragicamente artificiosi, veri e propri stereotipi di una semplice immagine del sé, che va dal giovane immigrato irregolare (passando dalla servetta di casa che viene “profanata” dal padrone), una delle cui figlie è l'ingenua amicona del cuore. L'evoluzione, come pure il finale delle loro vicende e relazioni, è scontato, un vero e proprio domino di cliché comuni, la cui spiegazione non coinvolge e non ammalia.





Violazione” è un romanzo scarso, poco interessante e significativamente involuto, i cui contenuti non decollano e lasciano il lettore in un limbo di ossessivo trascinamento, perso fra pensieri e parole che non appassionano. Una trama banale e poco coinvolgente si risolve in un romanzo prevalentemente noioso.

                                                               Marco Solferini