giovedì 18 giugno 2015

L'uomo che odiava Sherlock Holmes

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L'uomo che odiava Sherlock Holmes

Genere: drammatico, thriller, avventura.
Autore: Graham Moore.

Con il termine sherlockiani ci si riferisce agli appassionati del celebre protagonista dei romanzi di Sir. Arthur Conan Doyle.

Fra le tante associazioni che li raggruppano su scala planetaria ci sono gli «Irregolari».

Nome ovviamente ispirato ai celebri collaboratori di Sherlock Holmes in Baker Street.

Appena nominato membro di questa prestigiosa elite di amanti del noto investigatore Harold si trova coinvolto, suo malgrado, in un delitto apparentemente inspiegabile.

Uno dei più rinomati soci dell'associazione ha radunato tutti i membri per loro mostrare la scoperta più importante e cioè il ritrovamento del perduto diario di Conan Doyle.

Forse l'unico memoriale in grado di spiegare che cosa è successo tra la morte di Sherlock Holmes e il suo ritorno, cioè, dal punto di vista della produzione letteraria, tra le cascate di Reichenbach e «Il mastino dei Baskerville».

Prima di poter rendere nota la sua scoperta però lo shoerlockiano viene ucciso in una stanza d'albergo e del presunto diario non v'è più traccia.

Harold, insieme con una giornalista appena conosciuta comincerà una sua personale indagine per scoprire l'assassino e ritrovare il diario, ingaggiato niente di meno che dal discendente di Conan Doyle.

La narrazione del romanzo si svolge su due fronti.

Da un lato è il presente o meglio il 2010 e dall'altro è invece il passato dove il protagonista è lo stesso Arthur Conan Doyle insieme con Bram Stoker.

Lo scrittore viene ritratto nella sua intimità di Autore nella quale emerge il forte senso critico verso la sua creatura che sembra appartenere alla realtà più di quanto accada allo scrittore stesso. Per questo motivo è proprio lui l'uomo che odia Sherlock Holmes.

Ma uccidere Holmes non è facile e meno ancora lasciarlo morto. L'Inghilterra ama profondamente il suo eroe. Non pochi ne reclamano il ritorno e altrettanti sembrano detestare colui che glielo ha materialmente portato via.

Conan Doyle quindi subisce non solo lo scherno critico dei fan ma persino un piccolo, ma significativo attentato che lo porterà a conoscere un fatto di sangue: un omicidio irrisolto. Lo scrittore vestirà quindi i panni del detective e cercherà di risolvere il mistero.

Un infinita serie di dualismi sui quali sono costruiti rapporti interpersonali e sdoppiamenti del senso critico. L'autogiustificazione di situazioni altrimenti assurde nasce proprio da questa contrapposizione.

«Tutti erano indiziati, ma al più grande raduno sherlockiano del mondo, tutti erano anche detective». Tratto da «L'uomo che odiava Sherlock Holmes» di Graham Moore, ed. Best bur.

Assistiamo a un ottima prosa del farsesco. Il microcosmo degli appassionati del grande Sherlock Holmes è stravagante, ma non irriverente. Il risultato è un viaggio catartico tra il personalismo poetico narrativo di chi vuol celebrare, con le citazioni, un grandissimo maestro della letteratura del genere giallo e nel contempo far rivivere l'indagine basata sul metodo intuitivo e logico.

La deduzione, di cui il grande Holmes era un ineffabile cultore porta l'esposizione ad essere narrata attraverso gli indizi e spesso canalizzata per il tramite di alcuni intricati, apparentemente inspiegabili, episodi.

Anche perchè l'assassino sembra conoscere benissimo le opere su Sherlock Holmes e nel suo modus operandi ci sono dei chiari quanto letali riferimenti alle gesta e alle indagini del detective.

«Era attorniato da decine di sherlockiani, di presunti amici, eppure era solo. Uno di loro era un killer. Forse più di uno, concluse, se hanno letto Assassino sull'Orient Express. Certo che l'avevano letto. Avevano letto tutti gli stessi libri. Conoscevano tutti le stesse storie a memoria. Agatha Christie, Chandler, Hammett e così via; la lista avrebbe riempito intere pagine. Come poteva uno di loro aver compiuto un gesto simile?» Tratto da «L'uomo che odiava Sherlock Holmes» di Graham Moore, ed. Best bur.

Curiosamente, l'Autore rivela già nelle prime pagine quella che è la cifra narrativa di Conan Doyle nella costruzione dei suoi romanzi e come tale gioca a carte scoperte nel proseguo laddove mette in pratica lo stesso meccanismo.

Qualunque paragone con il grande scrittore sarebbe inutile e controproducente. La storia è celebrativa e ambientata nell'universo probabilistico di Sherlock Holmes, che si dilata o si contrae a secondo delle occorrenze.

L'Autore offre il suo punto di vista facendo parlare i personaggi. Indicativa la requisitoria sul buon Watson “smontato” da un Bram Stoker che, pur non avendo ancora raggiunto il successo, non manca certo di amor proprio.

Buoni i dialoghi, basati su di una visiva immediatezza anche se molto circostanziale. I protagonisti seguono gli eventi e come tale si introducono in essi vivendoli in prima persona. Il che crea un senso di empatia latente con il lettore veicolato dalla parola del narratore.

«Quando ci si trova di fronte a un enigma, è naturale voler conoscere la soluzione. Ma può capitare che il mistero sia più piacevole della soluzione. Siete sicuri che scoprire cosa contenga il diario sia appagante quanto restare per sempre nell'incertezza?» Tratto da «L'uomo che odiava Sherlock Holmes» di Graham Moore, ed. Best bur.

Come molti lettori sono un grande appassionato di Sir. Arthur Conan Doyle e del suo più celebre personaggio Sherlock Holmes. Ho vissuto con piacere la lettura di questo romanzo che si presenta in modo pulito e genuino, ben organizzato, a tratti necessariamente paratattico nell'alternanza di capitoli brevi che intervallano la narrazione tra il presente e il passato con un buon filo conduttore.

Gli spunti e le precisazioni letterarie su alcuni luoghi comuni (da sfatare) sullo Sherlock Holmes letterario impreziosiscono la narrazione dandole anche un carattere istruttivo per i lettori meno avveduti.

«L'uomo che odiava Sherlock Holmes» è decisamente un buon giallo basato su di un ambientazione originale che richiama quella del celebre Arthur Conan Doyle. Appassionante e coinvolgente. Un mistero da svelare, un indagine da seguire passo dopo passo sulle orme di cosa avrebbe fatto il più grande detective di sempre.

Consigliato.

Marco Solferini.
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lunedì 8 giugno 2015

La stagione degli innocenti

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La stagione degli innocenti

Autore: Samuel Bjork
Genere: thriller

«Io viaggio da sola» è questo il drammatico cartello che penzola dal corpo senza vita, apparentemente impiccato a un albero, di una bambina ritrovata nel bosco.

Siamo in Norvegia, nel freddo nord Europa e per l'agente speciale Munch quel cadavere rappresenta l'inizio di una sfida.

E' un uomo il cui stile di vita ha il sapore vissuto di chi convive con le scelte di un passato difficile da dimenticare. Costretto a sopportare il suo essere diventato in sovrappeso e con alle spalle una vita famigliare andata in pezzi.

Vivendo alla giornata tenta di raccogliere quel poco che ancora possa essere rimesso insieme.

Gli piacciono gli enigmi, ama il gioco degli scacchi e sa fare il suo mestiere, ma per fronteggiare la minaccia di un possibile assassino seriale avrà bisogno della sua preziosa collega, Mia Kruger.

Lei però si è isolata dal mondo. Ritiratasi lontano da tutto e da tutti, attende quello che è convinta sia il giorno della sua morte. Al quale mancherebbero meno di due settimane nel corso delle quali si dedica ai farmaci e all'alcool. Due vie di fuga da un passato che la tormenta: l'atroce destino toccato alla sua amata sorella.

Lei e Munch erano l'elite di una formidabile squadra fino al giorno in cui Mia decise di diventare giudice, giuria ed esecutore di un terribile aguzzino.

Ma l'assassino di bambine rivestite come bambole, numerate e sulle quali aleggia un inquietante mistero relativo ad un vecchio caso di suicidio, ha piani geniali. La sua trama è in evoluzione. Il gioco deve per forza andare avanti. Ogni mossa è destinata a rivelare una parte sempre più sconcertante del passato, mentre il disegno omicidiario porterà a galla una verità sconvolgente.

Munch ottiene il nulla osta per ricostituire la squadra speciale e Mia accetta di tornare in campo al fianco del suo ex collega per un ultima sfida o forse per la prima di un nuovo ciclo.

L'Autore ha conquistata una buona parte del mercato del nord Europa e di questi tempi è un ottimo biglietto da visita.

Ormai, buona parte delle segreterie editoriali sembrano essere state ammaliate da questo mercato.

In alcuni ci sono ampie motivazioni. Penso a Stieg Larsson, Liza Marklund, Joe Nesbo e altri.

Come spesso accade ci sono elementi che cominciano a fare tendenza e allora i lettore, trovandosi in libreria quasi più romanzi scritti da persone che hanno un cognome nordico, si potrebbe interrogare se ci sia una particolare genialità di fondo che distingue cioè la cultura letteraria contemporanea di questi Autori.

In questo caso abbiamo per le mani un buon romanzo, ma i cultori del thriller non lo esaltino più di tanto. Siamo in presenza di una struttura tipica. Un assassino il cui operato è quantomeno misterioso e una coppia di «detective» che sono descritti più per la loro componente di antieroi.

«Una gentilezza impeccabile, ma lei aveva visto dentro i suoi occhi. E le era venuta la nausea. Occhi falsi, disgustosi. Per qualche ragione era sempre stata brava a vedere dentro le persone che le stavano accanto. E così era stato per la scialba creatura in giacca e cravatta: aveva guardato dentro di lui e quel che aveva visto non le era piaciuto». Tratto da «La stagione degli innocenti», di Samuel Bjork, ed Longanesi.

Le personalità sono indagate a fondo attraverso espedienti di vita. Raccontati e vissuti. Il che stabilisce un buon rapporto empatico con il lettore. E' decisamente gradevole approfondire l'evoluzione di questi protagonisti.

Lei è il bozzolo che deve tornare ad essere farfalla. Lui è un sopravvissuto che deve trovare la forza per trasformare il fatalismo e l'autocommiserazione in un percorso ricostruttivo.

«Tutti pensavano di saperne qualcosa, ma in realtà nessuno sapeva davvero che cosa accadesse lì dentro, se non che i bambini della fattoria non andavano a scuola, ce tutte le attività avevano a che vedere con Dio, il cristianesimo e roba del genere e che comunque la gente lì non poteva stare insieme agli altri». Tratto da «La stagione degli innocenti», di Samuel Bjork, ed Longanesi.

Il cattivo di turno è colui che lancia il guanto della sfida. La mortalità omicida e il disprezzo per la vita sono l'anticamera di un messaggio che nega la ragion d'essere della legalità e della sua componente giustizialista. Io sono e quindi esisto. L'innocenza delle vittime e la loro trasmutazione in oggetti (bambole) dona una teatralità di fondo.

«Il suo nome non lo diciamo. Gli ho messo il veleno per topi nel cibo. Dovevo preparare da mangiare. Per noi tre, dopo che la polizia aveva detto che l'assassino si era dileguato. E' stato un divertimento guardarlo. Mentre moriva. L'abbiamo guardato insieme, io e mia sorella. Sanguinava dalla bocca, dappertutto. Davvero un bello spettacolo. Quasi solenne. Quasi come la vigilia di Natale». Tratto da «La stagione degli innocenti», di Samuel Bjork, ed Longanesi.

La genialità narrativa sta in questa contrapposizione di contenuti: da un lato la volontà di essere partecipe del proprio destino e dall'altra di contrastare il disegno criminoso. Due terreni fertili nei quali l'Autore manovra come un eccellente comandante.

Buona l'esposizione narrativa. Discreti i dialoghi. Funzionali e mai superficiali. Un tantino ripetitivi e insistiti su alcune concettualità di fondo.

«Un immagine dal cimitero. La tomba di Sigrid. Qualcuno le bisbigliava ancora qualcosa all'orecchio, una voce invisibile. Le campane della chiesa risuonavano lontano. Da un isola. Da Hitra. Suoni metallici dall'eternità, sul cellulare nella tasca dei pantaloni accanto al letto nella stanza d'albergo. Si allungò nel sonno verso quel suono, toccò lo schermo e cominciò a parlare ancora prima di essere completamente sveglia». Tratto da «La stagione degli innocenti», di Samuel Bjork, ed Longanesi.

Purtroppo, incontriamo fin troppi capitoli che purtroppo cominciano allo stesso identico modo. Il nome del coprotagonista, una breve panoramica su quello che fa, uno spunto discorsivo sul suo passato e poi l'evento da collocare nella narrazione.

Si tratta di un limite nella cifra narrativa dell'Autore. La volontà di sintetizzare tramite capitoli brevi non incontra la capacità di argomentarli senza ripartire da zero.

L'indagine si sviluppa a intermittenza. Non è mai veramente avvolgente. L'Autore ha messo in scena una competizione cercando il realismo ma difetta di spettacolarità perchè il suo epicentro narrativo è sempre l'idea di fondo.

I dettagli che vengono sviscerati e resi noti con metodo organizzato quasi filo logico non spostano il baricentro verso il climax.

«La stagione degli innocenti» è un buon thriller. L'Autore è discreto, ma ha ampi margini per migliorare.

In un genere così inflazionato c'è di meglio e proporre ai lettori un Autore in larga parte per questioni di marketing relative alla provenienza geografica è a mio avviso sbagliato.

Consigliato solo ai divoratori di thriller.

Marco Solferini.
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lunedì 1 giugno 2015

Il caso Bellwether

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Il caso Bellwether

Autore: Benjamin Wood.
Genere: Drammatico.

Siamo a Grandchester, un borgo dal sapore ancora medioevale vicino a Cambridge, in Inghilterra. Sono i primi anni del nuovo millennio.

Oscar è un ventenne che lavora presso una casa di riposo. Assiste gli anziani e i malati bisognosi di quotidiane attenzioni.

Un giorno, durante una pedalata in bicicletta nei verdeggianti dintorni della cittadina, è attratto da una melodia proveniente da una chiesa. Scopre così un piccolo concerto di musica classica.

A margine del quale conoscerà la giovane Iris. Attratti l'uno dall'altra finiranno per avere una relazione e si innamoreranno.

Ma con lei entrerà nella vita di Oscar anche il fratello Eden.

La loro è una famiglia molto benestante all'ombra della quale però Eden ha coltivato il suo ego smisurato e superbo. Una passione e un talento per la musica che definire geniale sarebbe riduttivo, ma fino a che punto può spingersi la sua convinzione di essere superiore?

Il giovane si rivela presto un manipolatore, abile nell'ipnosi. Il suo disprezzo per altri che non sia se stesso lo porta persino a convincersi di poter curare i malati attraverso la musica stessa. Verità o follia?

Oscar impara a sue spese cosa significa avere a che fare con lui.

Per amore di Iris e per un senso dell'etica che lo porta a capire quanto pericolosa sia la personalità di Eden dovrà riuscire ad ingannarlo, prima che sia troppo tardi. Prima che sia lui a divorare tutto e tutti.

Romanzo molto ambizioso per contenuti.

Scritto sicuramente bene, l'Autore mette in mostra abili doti espositive dal punto di vista descrittivo. Le sue immagini sono un estratto quasi fotografico di emozioni e sensazioni che poi egli riporta su di una immaginaria tavolozza fatta di carta e penna. Il risultato sono alcune frasi ben argomentate con metafore e allegorie in grado di ammaliare il lettore. Un esposizione descrittiva quindi spesso decisamente originale. Anche se l'Autore ha la tendenza ad autocelebrarsi insistendo un pò troppo, come a voler dimostrare quanto sappia essere bravo.

«Il silenzio era assoluto. I prati tosati sembravano insolitamente azzurri sotto il bagliore indolente dei lampioni e da qualche parte, lì vicino, il fumo che usciva dal comignolo di un cottage pareva nebbia». Tratto da «Il caso Bellwether» di Benjamin Wood, ed. Ponte delle grazie.

Diversamente i dialoghi lasciano spesso a desiderare. I personaggi infatti soffrono di una statica rappresentazione unimotivazionale. Essi sono, a ben guardare, immoti. Le loro sterili riflessioni rappresentano il principio e la fine. Come tale la recita diventa leziosa e ben presto esaurisce la sua capacità di coinvolgere il lettore.

Tutto il romanzo è giocato sulla figura di Eden.

Il prodigio. Forse non sarebbe corretto definirlo genio in quanto non si fa accenno al suo Quoziente Intellettivo, la cui indole narcisista lo porta ad innalzarsi al di sopra degli altri. Uno strepitoso atto di superbia che ricalca la nota patologia del disturbo narcisista della personalità.

Quest'ultima viene spiegata molto bene (e spesso) nel romanzo. A più riprese il lettore può riscontrarne l'anamnesi proprio nei comportamenti del giovane.

Siccome è un romanzo però, la domanda si pone spontanea: «tutto ciò è appassionante?»

Onestamente non saprei. Constatare che Eden si comporta come un caso clinico da manuale con i suoi amici, per quanto riguarda l'aspetto empatico, non mi ha entusiasmato, semmai un pò annoiato in quanto, una volta compreso «dove andava a parare» mi sono sentito privato dell'aspetto più introspettivo.

«Sono qui perchè, in fondo, so che Eden è malato. E se tutti gli lasciano credere di avere dei poteri divini che gli permettono di curare i malati - o anche se lui è abbastanza scaltro da farlo credere agli altri - succederà qualcosa di terribile». Tratto da «Il caso Bellwether» di Benjamin Wood, ed. Ponte delle grazie.

Ho trovato il confronto quasi baconiano, sul campo della scienza intesa qui nella sua componente da psicanalisi tra il vecchio psicologo di fama mondiale e il giovane dotato, una contesa stantia e parecchio telegrafata sul finale.

L'Autore forse, negli intenti, avrebbe voluto dipingerla come una partita a scacchi dove la ragione, il raziocinio e il realismo si scontravano con l'assenza di moralità e una superbia portata all'ennesima potenza, ma in verità la costruzione così come è stata organizzata mi è parsa inopportuna.

Le prime 100 pagine definiscono il contesto: dalla conoscenza della ragazza all'introduzione dell'elemento di novità quale Oscar è, nel mondo degli accademici figli di papà. Siamo in presenza di un microcosmo di persone benestanti e per molti versi viziate. Un luogo riservato che viene perturbato dal nuovo che sarebbe il ragazzo che lavora invece di essere mantenuto in attesa delle belle prospettive che lui riserverà il futuro. Dopo cioè aver ricevuto un eccellente istruzione.

Banale.

L'innamoramento è la leva che porta Oscar a dover sopportare questo Eden che magari una persona normale avrebbe semplicemente sculacciato un pò per fargli capire di non rompere troppo le scatole. Senza bisogno di costruire un simile turbinio di eventi.

«I barchini scivolavano indolenti sull'acqua e per un istante Oscar rimase in silenzio, con Iris, a guardarli collidere con piccoli e innocui urti. Una famiglia giapponese virò dritta sul terrapieno, mentre un vecchio con un cappello di paglia proseguiva serenamente, con una parata di cigni silenziosi nella sua scia. Il silenzio era carico di tensione. Per la prima volta, sentì il disagio di trovarsi da solo con lei». Tratto da «Il caso Bellwether» di Benjamin Wood, ed. Ponte delle grazie.

I genitori dei due fratelli sono la solita contrapposizione fra il sacro e il profano: la donna con credenze religiose e l'ex chirurgo..

Ho provato un sentimento dilagante di apatia narrativa nel conoscere un pò tutti i vari protagonisti.

Il risultato è che non si tratta di un thriller come taluni commentatori lo hanno descritto. Bensì un romanzo drammatico con una storia scarsamente appassionante.

Interessanti gli spunti musicali, le note teorie su Matheson e il giusto accenno al mesmerismo.

«Lui aveva lo sguardo fisso sul piazzale. La fontana scintillava sotto il sole morente. I pini si estendevano davanti ai suoi occhi formando una perfetta linea retta. Aprì il pacchetto di sigarette, se ne mise una in bocca, se la accese con un fiammifero. Il fumo dolce e stucchevole gli si srotolò intorno. Sentì un carbone ardente nei polmoni. Jane abbassò il suo esile corpo sul gradino, vicino a lui. Gli prese il braccio e gli appoggiò la testa sulla spalla. E restarono insieme in attesa davanti alla casa dei Bellwether, ad ascoltare il miagolio delle sirene». Tratto da «Il caso Bellwether» di Benjamin Wood, ed. Ponte delle grazie.

Complessivamente però non c'è nulla di così appassionante da andare oltre le mediocrità.

«Il caso Bellhether» è un romanzo a tratti piacevole, ma spesso noioso. Una trama scontata che fatica a decollare. Descrizioni molto valide salvano il contenuto e rendono apprezzabile per lo meno l'aspetto letterario.

Dando atto del fatto che l'Autore ha delle potenzialità, in attesa che trovi la “sua” trama e forse anche il “suo” genere c'è di meglio in circolazione, a meno che non vi interessi proprio la patologia del disturbo narcisistico della personalità..

Marco Solferini.
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