martedì 26 gennaio 2016

La morte e la fanciulla - Charlotte


















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"Charlotte. La morte e la fanciulla" - "Charlotte"

Autori: Bruno Pedretti - David Foenkinos

Ogni anno, in occasione della Giornata della memoria offro il mio piccolo contributo proponendo la recensione di un romanzo che narra i drammatici fatti della Shoah.

Lo scopo, da sempre, è il non dimenticare.

In questa ricorrenza del 2016 vorrei proporre invece un diverso suggerimento di lettura.

Poichè sono da poco stati pubblicati in Italia due libri che trattano dell'artista ebrea Charlotte Salomon il mio suggerimento è quello di voler approfondire i contenuti di questa artista prematuramente scomparsa.

Colgo l'occasione peraltro per rilasciare questa mia in concomitanza con ArteFiera, l'importante kermesse di Bologna dedicata proprio all'Arte.

Charlotte era una giovanissima Autrice le cui indiscutibili doti dimostravano grande talento e stavano maturando in quel di Berlino. Purtroppo morì ad Auschwitz nel 1943, all'età di soli 26 anni quando era fra l'altro incinta.

Una vita influenzata dal nazismo e dalla persecuzione. Che gli valse l'allontanamento immotivato dall'Accademia di Belle Arti, la deportazione dei famigliari, l'internamento nel campo di Gurs e una serie di infelicità e costrizioni che terminarono nel modo più tragico: con una segnalazione anonima che le valse l'ultimo viaggio. Verso Auschwitz.

Normalmente recensisco romanzi e non posseggo le competenze per approfondire dal punto di vista tecnico l'opera dell'Autrice che arriva in Italia forse con un pò di ritardo in quanto già molto nota in piazze come Parigi e Amsterdam.

Tuttavia gli Autori di queste due opere, segnatamente Bruno Pedretti per «La morte e la fanciulla» ed. Skira e David Foenkinos con il suo «Charlotte» ed. Mondadori, sono entrambi dotati di pregiate qualità dialettiche e discorsive tali da rendere l'esposizione piacevole e nel contempo approfondita.

Baciata cioè da quel principio di condivisione che rende l'Arte un linguaggio alla portata di chiunque. Viene quindi offerta al lettore la possibilità di conoscere e imparare.

Un ulteriore occasione pertanto per ricordare. Perchè la memoria dell'Olocausto è sopratutto comprensione. L'estremismo dell'umana follia ha prodotto non solo un genocidio sconsiderato e impietoso, ma altresì un atto di nichilismo che paradossalmente ha colpito anche coloro che lo hanno indebitamente perpetrato.

Ciò che il nazismo ha ucciso non è soltanto la ragione ma anche il futuro.

Ha privato il Mondo e le generazioni a venire del contributo di milioni di persone. Di straordinari artisti, scienziati, medici, ingegneri, letterari, ricercatori e via discorrendo in tutte le discipline che nel corso della storia hanno elevato l'umano senso dell'esplorazione.

L'indiscriminata macchina di morte ha concepito il razzismo estintivo nella sua più blasfema manifestazione: l'ignoranza.

Abbiamo cioè assistito all'idea che un epurazione sciocca e priva di fondamento alcuno che non fosse il bieco fanatismo, potesse elevare la razza umana invece di comprendere come all'opposto, l'avrebbe privata di tanto, troppo, persino tutto.

Capire per ricordare quindi, come nelle tante parole e splendide frasi di Autori che ho letto e ho avuto il piacere di recensire sulle pagine di questo mio blog e che in questa sede vorrei ricordare per quanti ancora non avessero avuto il piacere di apprezzare, per esempio:

Ma la conoscenza è tutto solo se accompagnata dalla virtù della consapevolezza.

Quest'ultima guarda con timore al panorama contemporaneo perchè la tecnologia ci ha portato la comunicazione globale e tutto quello che accade è a portata di uno sguardo. Per questo motivo affermo che ignorare si può solo se si vuole.

E cosa osserviamo oltre il mallo dell'apparenza di chi predica bene, ma poi agisce dimenticandosi le proprie parole? Falsi dialogatori, ipocriti perbenisti, sciatti e avidi pastori dell'immagine.. soggetti che si prestano a «partecipare» alle manifestazioni del ricordo per poi dimenticare nei restanti 364 giorni dell'anno l'importanza di contrastare, ciascuno nel proprio piccolo, l'antisemitismo.

Allora il ricordo diventa una scelta di parte, uno stile temporaneo, un «far bene» o «sentirsi bene», un semplice «esserci" come atto dovuto o magari persino una maniera per acquisire popolarità sui social network allo scopo di ingollare qualche triste «mi piace».

La memoria che i libri insegnano e quella che si mantiene dentro.

Che cammina sulle nostra gambe. E' una scelta di vita. Di condivisione che diventa esternazione. Non può essere una moda o un ripensamento. Percuote il corpo e deve scuotere la mente. Altrimenti uccidiamo le vittime due volte.

Vogliate gradire il mio invito a procurarvi i due libri sull'Artista Charlotte Salomon e ad approfondirne la sua opera nel ricordo della sua vita.

Marco Solferini
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giovedì 14 gennaio 2016

Il dio della colpa

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Il dio della colpa

Autore: Michael Connelly.
Genere: legal/thriller.

Nuovo capito della serie di romanzi che hanno per protagonista l'avvocato Mickey Haller.

Lo avevamo lasciato alle prese con le annose questioni dei mutui ipotecari e dei pignoramenti, lo ritroviamo nel suo habitat preferito: il diritto penale.

Un caso di omicidio che lo riporta a una vecchia conoscenza, una giovane prostituta che credeva di aver aiutato e che invece ritrova vittima di strangolamento in circostanze che, apparentemente, sembrano richiamare la «vecchia» professione della donna.

Il suo nuovo capo o impresario del sesso diventa il sospettato numero uno m lui afferma con forza di non essere colpevole. Haller gli crede. Ma è una corsa contro il tempo e contro lo spietato inferno carcerario.

Un enigma nella vita più recente della donna e una serie di indizi portano a una verità diversa. Ambigua e sottile come una lama. Una verità che condurrà a scenari inaspettati dove l'avvocato dovrà mettere a dura prova i propri sensi di colpa e il suo desiderio di riscatto.

L'indagine parallela al processo infatti porterà a uno spietato boss del narcotraffico e a un agente dell'antidroga che forse rappresenta un male uguale a quello che vorrebbe contrastare.

La vera narrazione, a parte il fatto di sangue in sè annida proprio nelle condizioni di deperimento morale e disillusione ideologica del protagonista.

Haller sopravvive a se stesso. Giorno dopo giorno è costretto a convivere con un passato che rappresenta un peso esorbitante rispetto alle aspettative sul futuro. Questo è il suo personale girone dell'Inferno dantesco che non risparmia le recriminazioni per le scelte compiute e per un rapporto con la figlia che sembra irrecuperabile.

Se l'avvocato è più ingegnoso che brillante, più audace a giocarsela sopra le righe e spesso anche oltre i limiti del consentito, l'uomo dietro il professionista non ha la stessa capacità e forza d'animo.

«Stavo cominciando a pensare che mi meritavo dei clienti del fenere, estatamente come loro si meritavano me. Eravamo tutti dei casi disperati, dei perdenti, il tipo di persone a cui il dio della colpa non rivolgeva mai uno sguardo benevolo». Tratto da «Il dio della colpa» di Michael Connelly, ed. Piemme.

Assistito dal suo team che ritroviamo nell'interezza con l'investigatore Cisco e l'intuitiva assistente Jennifer. Come pure Earl, l'autista dell'avvocato. Anche se qualcuno pagherà il prezzo più alto per la pericolosità delle indagini.

«Mi strofinai la mascella e feci scorrere la lingua sui denti. Sembrava che ci fossero tutti. Tirai fuori un fazzoletto dalla tasca interna della giacca e cominciai a ripulirmi la faccia mentre con l'altra mano mi afferravo al tavolo per rimettermi in piedi». Tratto da «Il dio della colpa» di Michael Connelly, ed. Piemme.

Haller riuscirà a districare la matassa processuale a carico del suo cliente? Sarà in grado di andare a fondo e di guardare alla verità che forse lo lascerà con più di un sorriso amaro? E infine, tutto ciò gli darà la spinta necessaria per riscattare la propria vita?

Domande e interrogativi cui Connelly promette risposte in poco più di 400 pagine come sempre confezionate in modo impeccabile.

«Conoscevo avvocati che avevano frequentato le migliori facoltà, eppure non sapevano trovare la via di uscita da un tribunale. E conoscevo anche avvocati che avevano frequentato i corsi serali e che non avrei esitato a chiamare se mi fossi trovato con le manette ai polsi. Il merito era degli individui, non delle scuole». Tratto da «Il dio della colpa» di Michael Connelly, ed. Piemme.

Scrittore fra i più celebrati dell'epoca contemporanea, ogni suo romanzo di distingue per essere ordinato, preciso, ben organizzato in modo da dosare i tempi dell'azione, del dialogo e del discernimento emotivo che con uno stile certamente sobrio e lineare l'Autore propone al lettore.

La focalizzazione soggettiva della cifra letteraria si sposta spesso su di un transfer esterno a mò di narratore incolpevole che cita, esprime, quantifica gli eventi passando attraverso il personaggio con il quale egli Autore vive un rapporto di simbiosi personalizzata sulle sue problematiche. Un pò come lo sono, per tutti noi, le stagioni della vita.

«L'unica cosa chiara era che la giustizia funzionava così e che da quel momento in poi avrebbe condizionato le loro vite». Tratto da «Il dio della colpa» di Michael Connelly, ed. Piemme.

Questo gli permette di confezionare un protagonista a misura d'uomo che interagisce con la società urbana e la c.d. civiltà un pò come un pugile sul ring che schiva, subisce e quando può passa al contrattacco.

«Sai, è possibile che in questo caso i buoni siano i cattivi. E che il cattivo che sta in prigione rappresenti il nostro asso nella manica». Tratto da «Il dio della colpa» di Michael Connelly, ed. Piemme.

Questo stereotipo indiscutibilmente veritiero piace ed è anche di agevole comprensione. La stragrande maggioranza dei lettori che vogliono godersi un legal thriller con puntate drammatiche di spessore, mai banale, ottimamente esposto con uno stile narrativo di comprovata efficacia e naturalmente ricco di svolte narrative e colpi di scena non rimarranno delusi.

Amo gli scritti di Michael Connelly e mi piace moltissimo come Autore. Ne ho consigliati davvero tanti dei suoi romanzi e mi sento di fare altrettanto con «Il dio della colpa» la cui identità i lettori dovranno scoprire e apprezzare (io l'ho trovata geniale, come si suol dire: «la ciliegina sulla torta»)

Buona lettura a tutti.

Marco Solferini
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venerdì 8 gennaio 2016

Il canto del ribelle

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Il canto del ribelle
La vera storia di Loki

Autore: Joanne Harris
Genere: Avventura, mitologico.

C'è una storia che tutti conoscono. E' quella di grandi guerrieri e dei loro Dei. E' quella di Asgard. Di Thor, dio del tuono, di Odino, padre di tutti gli dei, di Balder, il coraggioso. Ed è anche la storia di Loki.

Da molti definito un furfante. L'ingannatore. Il mistificatore. Colui che scatenerebbe il Ragnarok cioè la fine dei tempi e di tutte le cose sulla terra degli dei.

Il suo sconfinato odio per Odino è noto a tanti, ma non da tutti realmente conosciuto. Nei suoi “perchè”, in quelle motivazioni che hanno rappresentato la vicenda più intima e dai risvolti meno noti.

«Questa era la mia occasione per finire Odino, per colpire al cuore di Asgard, per prendermi la vendetta tanto a lungo desiderata...». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Ecco, questa è la versione di Loki.

Sarà lui, in prima persona, a narrare questi eventi. L'ingannatore che viene dalla forma del fuoco, che proviene dal Pandemonio e che prende forma per aiutare Odino a celebrare le sue vittorie.

I suoi numerosi inganni saranno come una partita a scacchi con «padre tutto», che coinvolgerà i suoi figli, che porterà alla morte del prode Balder, a usare la figlia stessa dell'ingannatore Hela regina di Hell, il suo ultimo figlio il lupo Fenris per scatenare al furia del Ragnarok in una sorta di competizione contro l'odiato Oracolo che tutto aveva previsto.

«Da sud, dalla Foresta di Ferro, veniva il resto del nostro esercito. Forte di diecimila uomini, magnifico, si dispiegava sulla pianura in aperta sfida a Asgard. C'erano demoni e troll, lupi mannari e vecchie streghe, goblin ed effimeri, mostri umani e morti viventi. Io avevo la mia nave di fuoco, la mia flotta per navigare fra i Mondi, avevo il mio equipaggio di teschi e ossa». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Inganni e castighi, trabocchetti e tragedie: storie nella storia. Episodi che parlano del mito e della leggenda.

La versione di Loki è una rivisitazione di tutto questo. Con l'irriverenza ed il compiacimento autoritario di chi si autocelebra e narra di sè con il piglio dell'eletto. Ma anche battaglie epiche ed eroiche.

«Nel frattempo, a terra, il Tuono e il Lupo Fenris erano impegnati in un duello all'ultimo sangue. Per un momento, Thor era stato stordito dalla caduta, e io avevo sperato che il lupo lo finisse; ma poi ha afferrato Mjolnir, e di colpo la lotta è ripresa. L'accuratezza non era il punto forte di Thor, ma la compensava con la forza. Mjolnir gli lampeggiava in mano; il Lupo è balzato indietro, ringhiando e scoprendo i denti giganteschi». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

La scrittrice confeziona un testo geniale.

La mitologia nordica è indiscutibilmente una delle più complete e sicuramente affascinanti.

«Il regno di Hel è freddo e tetro. Libero dalle convenzionali regole di misura, proporzione o geografia, si estende in tutte le direzioni, un deserto privo di colore, di sabbia e osso sotto un arco di cielo privo di colore. Li non cresce nulla; e nulla vive - perfino Hel era un mezzo cadavere - e quelli che arrivano qui sono morti, condannati o soltanto disperati». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Fonte di continue ispirazioni che vanno spesso ben oltre l'adattamento dei fatti così come tramandati dalla storia e dall'archeologia. Pensiamo infatti al supereroe «Thor» degli Avengers (nei fumetti), o ai tanti film e serie televisive che ne hanno celebrato la religione in terra vichinga e le doti riconosciute di guerrieri, straordinario popolo votato al coraggio in battaglia, in cerca di una morte con onore per accedere al Valhalla.

Questo libro è un altra cosa.

Qui siamo in presenza di una narrazione ufficiale, ma apocrifa. Nel senso che i fatti sono quelli accreditati (Loki non è il fratello di Thor, tanto per capirci.. nota per i Marvel Fan) ma esposti da colui che è il «cattivo».

«Bene, questa non è la versione ufficiale. Questa è la mia versione dei fatti. E la prima cosa che dovete capire riguardo questo raccontino è che non c'è un vero inizio. Nè una vera conclusione, a dirla tutta. Anche se, naturalmente, ci sono stati parecchi esempi di entrambi: finali multipli, inizi multipli, intrecciati così fittamente che nessuno è in più in grado di distinguerne i fili. Finali, inizi, profezie, miti, storie, leffende e burie, tutti parte dello stesso grande tappeto; sopratutto le bugie, certo - che è poi quello che vi aspettavate da me, essendo io il Padre e la Madre delle Bugie, ma questa volta è tutto vero, almeno quanto qualsiasi cosa chiamiate storia». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Tuttavia, di cattiveria possiamo o dobbiamo veramente parlare?

E' un dubbio che sovviene. Esiste forse un mito senza che in esso vi sia la nemesi? L'esatto contrario? Può esserci il paradiso senza l'inferno? Un dubbio atavico nella coscienza che brulica nella contemporaneità della questione religiosa perchè trasversale. Presente cioè in tutte le religioni monoteise o meno, della storia passata e dell'attualità.

Un aneddoto che sembra forse più legato all'innata concezione dell'uomo di essere crocevia degli eventi e nel contempo di determinarne lo svolgimento. Dei, così umani quindi, da prendere sul serio situazioni scherzose o da tramutare il destino in tragedia agendo come argonauti della propria estinzione.

Sullo sfondo c'è il fato, questo sconosciuto, che tira le fila di tutti noi e al quale apparentemente nemmeno gli dei sono immuni.

«E Odino avrebbe dovuto sapere sin dall'inizio che l'Ordine perfetto non si piega: semplicemente, regge finchè non si spezza, ed è il motivo per cui di rado sopravvive per un periodo di tempo significastivo. Allora il Generale non lo sapeva, ma quello di cui aveva bisogno era un amico: un amico i cui principi morali fossero abbastanza elastici per occuparsi delle bassezze mentre Odino comandava dall'alt, mantenendo l'Ordine, intoccabile... In pratica, aveva bisogno di me». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Loki è straordinariamente umano. Da subito. Da quando cioè si manifesta sotto forma di fuoco e non conosce nemmeno il dolore, fin quando egli assume la forma di uomo ma nella sua versione deificata.

Perchè egli diventa uomo nella forma per essere un dio (per godere dei privilegi di esserlo).

Narra i perchè delle sue azioni. La sua naturale scienza dell'essere che accetta la consapevolezza del ruolo. Portatore del caos. Agente della dispersione. Inno perpetuo ad una confusione che sembra brodo primordiale o forse ad esso vuole (ri)condurre.

«Lealtà, onore, verità, buona fede... tutte queste cose appartengono all'Ordine. I figli del Caos non ne hanno bisogno e non le capiscono bene». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Loki non civilizza, ma usa quel che trova, lo consuma laddove non può plagiarlo, quando cioè non riesce a riproporlo a sua immagine e somiglianza, attraverso la corruzione.

Lui è la sintesi del concetto «distruggere per ricostruire».

«La punizione è inutile, ovvio. Non arresta il crimine, nè annulla il passato, nè fa pentire il colpevole. Anzi, la sola cosa che fa è sprecare tempo e provocare inutile sofferenza. Forse questo è il motivo per cui è alla base di così tante grandi religioni». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Ma celebra anche il dramma della sconfitta. La lotta impari contro la predestinazione. Se esiste una strada maestra dove tutto è scritto come può esistere altresì il libero arbitrio? Non è forse un ossimoro? Sulla base di questo assunto egli agisce. Cercando cioè di far prevalere il secondo sul primo.

«Buffo come le cose che diciamo ritornano per dilaniarci, come cani rabbiosi a cui una volta abbiamo fatto l'errore di dare da mangiare. Sebbene allora non lo sapessimo, la nostra estate stava per finire. Le stagioni avevano cominciato a mutare, le ombre ad allungarsi, il sole a tramontare. Quella luce rosata è ingannevole, splende sui volti di chi ti sta intorno e li fa apparire amici. Non lo sono. Nel giro di dieci minuti, il sole sarà tramontato, e sarà impietoso». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

Appassionante e coinvolgente il romanzo è molto ben impostato. Rifugge qualunque appesantimento storico e riesce da un lato ad erudire informando il lettore sui fatti e nel contempo a sorprendere coinvolgendolo per il metro narrativo così irriverente e a tratti irrispettoso.

L'Autrice celebra la personalità di Loki, dosandone i contenuti, oscillando come il Pendolo di Foucault tra un egocentrismo sconfinato e un ego altrettanto megalomane. Così facendo canalizza le scelte e ricama l'efficacia dei dialoghi molto pertinenti e ottimamente impostati.

«Non pretendo di sapere molto sull'amore, ma è così che finiscono i grandi amori, non tra le fiamme della passione, ma nel silenzio del rimpianto. Ed è così che mio fratello Odino e io abbiamo raggiunto la fine della nostra alleanza: non nella furia della battaglia (sebbene questa sarebbe giunta molto presto), ma fra bugie e sorrisi cortesi, e solenni proclami di leatlà». Tratto da “Il canto del ribelle” di Joanne Harris, ed. Garzanti.

«Il canto del ribelle» è un testo originale. Sicuramente interessante per chiunque apprezzi la cultura nordica. Ma è anche una piacevolissima lettura per quanti amano orientare la propria intelligenza di lettori in un contesto narrativo diverso dal solito.

Mi è piaciuto. L'ho apprezzato e per questa ragione mi sento di consigliarlo a tutti.

Marco Solferini.
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