venerdì 30 gennaio 2015

Sottomissione

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Sottomissione

Autore: Michel Houellebecq
Genere: drammatico, attualità

Francois (il nome del protagonista viene pronunciato solo alla fine del primo capitolo) è un giovane professore francese della Sorbona 3 di Parigi.

Il suo prestigioso percorso universitario è incentrato sull'autore Huysmans, noto scrittore ottocentesco la cui storia personale è stata ricca di colpi di scena oltre che caratterizzata da una produzione letteraria assai varia.

La vita di Francois si gestisce tra l'attività didattica e qualche sporadica pubblicazione letteraria su riviste dedicate.

Per il resto, nella sua vita privata, intrattiene relazioni con studentesse dal sesso facile e si crogiola in una quotidianità apatica di virtú. In attesa di quel grande amore che potrebbe essere la giovanissima Myriam.

Tutto peró sta per cambiare.

Infatti, alle elezioni (siamo in un futuro leggermente prossimo, indicativamente nel 2025) l'estrema destra francese si appresta a conquistare il potere e la sinistra socialista è schiacciata dall'incredibile avanzata del partito dei fratelli mussulmani: una formazione di base religiosa con un leader dichiaratosi "moderato" e che raccoglie i frutti della penetrazione mussulmana in Francia.

Il tutto si risolve in uno scenario a tratti decadimentale o apocalittico che getta l'ombra della guerra civile nelle grandi città della Francia.

Per quanto riguarda i contenuti, anzitutto, credo vada osservato che il giustizialismo al senso civico contemporaneo è autoreferenziale. A mezzo del quale l'Autore “si narra” in quella che è una pudica osservanza di opportunismo per celare i suoi eccessi (voluti) al contrario.

Pur senza andare a scapito del realismo, è bene concepire l’opera comunque e pur sempre come ipotetica. Ambientata cioè in un possibile futuro.

Ciò posto, lo stile espositivo dal punto di vista della focalizzazione soggettiva è irriverente e provocatorio, chiamando a sè l'associazione causale degli elementi anticonformisti, noti nella dialettica per stabilire un empatia teatrale che rende complice con il lettore. Queste pillole di libertinismo (con cattiveria) sono un pó Bridget Jones o Hank Moody (Hollywood docet, se ”esiste” Richard Castle, può esistere anche il protagonista di ”Californication”).

In epoche più antiche, le persone costituivano delle famiglie il che significa che dopo essersi riprodotte sgobbavano ancora qualche anno, il tempo che i figli raggiungessero l'età adulta, poi se ne andavano al Creatore”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Da subito, nel romanzo, il lettore incontra un metodo narrativo volutamente organizzato in pensieri lunghi. Nei quali incontriamo un palese sfoggio della retorica (quale arte liberale negata) associata alla dialettica.

Osservo che lo stile non è ripetitivo ne rafforzativo, essendo invece più contemplativo e questo lo rende digeribile anche a coloro che fossero strenui sostenitori della paratattica espositiva.

La socialità nei rapporti umani di cui il protagonista è apatico e per molti versi avverso, essendo schiavizzato da preconcetti illustrati con un punto di vista egocentrico, entra in crisi attraverso termini e paragoni che sono spesso paradossi di autori e letterati del passato. È genialità? Vivere le opinioni altrui e parametrarle alle proprie in realtà sembra più un aspetto della psicanalisi del Sè, relativo ad un incompiutezza caratteriale.

La totalità degli animali e la schiacciante maggioranza degli uomini vivono senza mai provare il minimo bisogno di giustificazione. Vivono perchè vivono, tutto qua, è così che ragionano, poi immagino che muoiano perchè moiano e che questo, ai loro occhi, concluda l'analisi”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Prendo atto che una parte della critica sta celebrando questo Autore.

E’ noto che i francesi siano generosi in questo e spesso dimostrano una “grandeur” un pò eccessiva quasi a voler trasferire il concetto di “campioni nazionali” anche ai propri Autori.

Personalmente l’ho trovato gradevole, ma non innovativo.

Egocentrismo, maschilismo, rifiuto edonistico e narcisistica che porta al microcosmo inscatolato di sofferenze emotive tendenti all'annullamento catartico oltre il quale non c'è rinascita. Sono tutti elementi presenti nel protagonista a mezzo dei quali l'autore parla del riciclaggio che c'è alla fine di un ciclo. Riciclaggio della morale. Della cultura.

Questo antieroe moderno, così passivo da essere sterile nei confronti della realtà contemporanea e apparentemente insensibile affronta un viaggio catartico sulle rotte del suo mito Huysmans in fuga dalla civiltà di una Parigi in bilico davanti allo spettro della guerra civile.

Negli ambienti dell'estrema destra si era diffusa l'idea che se i mussulmani arrivassero al potere i cristiani sarebbero necessariamente ridotti alla condizione di dhimmis, cittadini di livello inferiore. La condizione dhimmi, in effetti, fa parte dei principi generali delll'Islam, ma nella pratica è una condizione molto flessibile”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

La volontaria ghettizzazione in cui Francois si è rinchiuso, quasi a ripudiare ciò che sicuramente di cattivo e incomprensibile c’è nel mondo circostante trasmette l’utilitaristico pensiero di rigetto cui egli fa regolarmente ritorno.

In questo contesto la critica al mondo universitario è brutale. Da culla della civiltà l’ateneo è diventato il lascivo microcosmo utilitaristico dei pochi eletti e facenti funzione. Una società fuori dal mondo eppure dentro di esso come il concepito frutto di uno stupro. Non meraviglia che i petrodollari mussulmani si comprino con facilità i servizi di questi (falsi) sapienti dall’atteggiamento cattedratico o la resa incondizionata di una classe accademica persa, smarrita, completamente assorbita dai più deleteri meccanismi di questo informe salotto privato fatto di professori, ricercatori e poltrone ad vitam.

Nel corso della narrazione, nel mentre che si sviluppano gli eventi politici riportati dai media, l’Autore, attraverso il suo protagonista, incontra (mette in prosa) diversi stereotipi di quella che sembrerebbe essere la colpevole distrazione dilagante della pubblica opinione. Questi personaggi sono il prodotto di quel substrato che ha consentito l’avvento del nuovo scenario politico. La descrizione del collega Steve (uno di questi) è di una perfidia culturale atroce.

Una menzione a parte merita il neologismo (si fa spesso riferimento ad essi in due occasioni cruciali del romanzo) che diventa l’epicentro di una voluta descrizione/disquisizione (preannunciata), a mò di paragone, con concetti più tipici della sociologia. Una contorsione mentale non facile in verità. Il neologismo che ha in mente l'autore è quello semantico (posso presumere).

.. e capii che non avrei più avuto il coraggio di richiamare Myriam, la sensazione di prossimità che si creava al telefono era troppo violenta, e il conseguente vuoto troppo crudele”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Poi c'è sempre il personale paragone esistenziale dell’Autore con Huysmans che sembra rivestire un oracolare termine di confronto interiore.

Probabilmente il lettore Italiano non saprà nemmeno chi sia Huysmans (altra caratteristica degli Autori francesi è quello di dare per scontato che tutti posseggano la stessa concezione culturale in voga oltre Alpi). La sua opera più celebre nel Bel Paese potrebbe essere “L’abisso” e non “Controcorrente” come accade in Francia. E’ un Autore che da naturalista è stato umanista, satanista, cattolico e via discorrendo.. un esploratore del metodo sperimentale applicato alla filosofia e alla cultura letteraria. Meno all’antropologia dal mio punto di vista.

I dialoghi (espliciti) del protagonista sono scarni e incompetenti tipici cioè dell'osservatore e del commentatore esterno: colui che non partecipa, limitandosi ad ascoltare per poi filosofeggiare sui contenuti (sbugiardati) di un evidente teatro delle intenzioni che mistifica e inganna le reali volontà. Per effetto e quale conseguenza le considerazioni (cioè quello che il protagonista si limita a pensare) sono invece molto più approfondite anche se egocentriche.

Tra un anno o due avrebbe abbandonato ogni aspirazione matrimoniale, la sua sessualità non del tutto estinta l'avrebbe spinta a cercare la compagnia di ragazzi, sarebbe diventata quella che nella mia giovinezza chiamavamo una cougar, e questo sarebbe durato senza dubbio qualche anno, una decina nei migliore dei casi, fino a quando il cedimento stavolta irreversibile del suo fisico l'avrebbe portata a una solitudine definitiva”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Eccoci quindi, a più riprese ad una rappresentazione del sonno della ragione con annesso sentimento di critica di questo essere i francesi troppo schiavi del retaggio culturale di mostri sacri come Emile Zola, Flaubert, ecc.

Una mossa del cavallo molto audace nelle intenzioni che peró mi sarei aspettato fosse piú coraggiosa nel proseguo della narrazione.

Il finale in particolare è destinato a dividere. Il confronto esegetico con il laicismo e l’ateismo che parte dalla cosmologia è affascinante. L’interpretazione dell’Islam nella cultura occidentale, o meglio di come tale religione si possa amalgamare a quel che resta di quest’ultima è un passaggio obbligato che rappresenta il gran finale cui Francois sembra predestinato. Dopo aver celebrato un ultima volta il suo Autore Huysmans in un saggio è pronto ad abbandonarlo per conoscere la seduzione del concetto islamico di sottomissione.

I monologhi finali dell'interlocutore di Francois sono atti di sincretismo estremo o una parabola ragionata sull'eclettismo applicato al binomio religione – sociologia nella società occidentale?

Stilisticamente pulito e creativamente provocatorio l'Autore dimostra ottime doti espositive che si riciclano senza tuttavia annacquarsi nella dissolvenza. Molto abile. E non era facile. Significa che egli conosce il proprio Io letterario e la conseguente cifra, riuscendo a gestirla in modo da creare una caratterizzazione a mó di autocontrollo senza lasciarsene dominare.

Voluttuosamente esplorativo dal punto di vista sessuale il romanzo non si risparmia nelle scene "hard" a vantaggio di chi apprezza.

Nessun paradigma e poche allegorie. Questo mi ha sorpreso in quanto le varie scuole di pensiero letterario-commerciale francese da Emmanuel Carrère a Nicolas Barreau non ci rinunciano facilmente.

Mi è piaciuta la sottile ma efficace distinzione tra il trasformismo e la mutevolezza. Il primo appartiene alle persone e il protagonista lo scopre insieme con il carattere camaleontico di queste, mentre la seconda riguarda la società. Francois ne rimane in un primo momento vittima ma poi vi si adatta.

Fermo restando che in alcuni casi l'Autore eccede nel proporre le atmosfere del quotidiano. Alcuni capitoli evidentemente hanno un richiamo piú stilistico con i quali lo scrittore ha sentito il bisogno di confrontarsi.

Interessante il concetto di moderazione che sembra essere la risposta a tutte le paure relative ad un cambiamento e forse rappresenta soltanto l'ultima ancora di salvezza di un sistema fallimentare e morente. E’ una curiosa e possibile chiave di lettura per dirimere alcune ambiguità del breve esilio del protagonista sulle rotte del passato di Huysmans. Lo avrei approfondito maggiormente.

E' probabilmente impossibile, per chi abbia vissuto e prosperato in un sistema sociale ereditato, immaginare il punto di vista di coloro che non essendosi mai aspettati nulla da tale sistema, ne progettano la distruzione senza alcun timore”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Questo romanzo è stato commentato in molti modi (forse persino da chi non l’ha letto o non l’ha letto tutto). C’è chi parla di un monito anti Islam, chi invece all’opposto ne osserva la capacità, un pò goliardica di gettare acqua sul fuoco di paure che tutto sommato sono eccessive. Altri hanno invece preferito disquisire sul condizionamento latente di quell’Eurabia che è stata al centro dell’attenzione per diversi anni: integrazione o colonizzazione?

Il massiccio arrivo di popolazioni immigrate fedeli a una cultura tradizionale ancora modellata sulle gerarchie naturali, sulla sottomissione della donna e sul rispetto dovuto agli anziani, costituiva un occasione storica per il riarmo morale e familiare dell’Europa, creava la possibilità di una nuova età dell’oro per il Vecchio Continente. Quelle popolazioni erano in certi casi cristiane; ma più spesso, bisognava riconoscerlo, erano musulmane”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Io ho avuto l’impressione che l’Autore ogni volta che avrebbe potuto spingere sull’acceleratore, abbia preferito il freno a mano.

In definitiva quel che dell’Islam viene ad essere molto in commento è la prassi sessuale legata alla sottomissione, quindi il ruolo della donna. L’osservanza cui questa è tenuta di crismi che sono l’antitesi dei movimenti femministi occidentali. Una sottomissione a ben guardare più funzionale che rinunciataria e che gli uomini dell’occidente potrebbero gradire dimostrando più punti di contatto di quanti apparentemente non ce ne siano con i mussulmani.

Vestite durante il giorno con impenetrabili burqua neri, di sera le ricche saudite si trasformavano in uccelli del paradiso, si agghindavano con guepiere, reggiseni trasparenti, perizomi ornati di pizzi policromi e gemme, esattamente al contrario delle occidentali, che raffinate e sexy durante il giorno perchè in gioco il loro status sociale, tornando a casa la sera si afflosciavano, abdicando stremate a qualsiasi prospettiva di seduzione indossando tenute comodi e informi”. Tratto da “Sottomissione” di Michel Houellebecq, edizioni Bompiani.

Dal punto di vista dell’anti semitismo c’è poco o niente. L’avvento di un partito al potere avente matrice islamica spinge gli ebrei di Francia a lasciare il paese per tornare in Israele. Per Francois significa lasciare Myriam (ebrea) che tuttavia solo la sua mente piena di archetipi stereotipati poteva concepire come una donna giusta. In realtà è solo quella con cui fa il miglior sesso e ha molti anni in meno. Ben presto lei trova un alternativa mentre lui si riduce alle escort e poi alla bigamia mussulmana.

"Sottomissione" è senza dubbio un ottimo romanzo. Audace, creativo, provocatorio. Un ipotesi narrativa carica di fascinosa inquietudine. Apprezzabile punto di partenza per salotti letterari e amabili disquisizioni sugli argomenti trattati. Il classico piacere di una buona lettura accompagnato da una ricca dose di riflessioni.

Leggendolo però, vi domando cortesemente di ricordarvi anche il vecchio modo di dire: la realtà supera la fantasia.

Marco Solferini.
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martedì 27 gennaio 2015

Jakob il bugiardo

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Jakob il bugiardo

Autore: Jurek Becker.
Genere: drammatico.

Nel 1943 la vita nel ghetto di Lodz in Polonia è un continuo ripetersi di privazioni.

Un insieme di inutili regole dettate per annullare la prospettiva della quotidianità.

Una maligna presenza di vincoli frutto dell'odio e della volontà di annientare l'umano senso di civiltà. La storia ci ha tramandato questa macchia indelebile di quanto vigliacca sia stata la persecuzione contro gli ebrei.

«Il non poter fare» era diventato lo strumento per una persecuzione strisciante, ancora più invasiva della punizione stessa. Perchè onnipresente. In ogni dove, quando e perchè. Nella società di oggi, abituati ad una prospettiva di «fare» rivolta cioè a quello che possiamo e per molti versi vorremmo ottenere è difficile comprendere l'esatto opposto cioè l'infinita serie di preclusioni senza motivo cui erano sottoposti gli ebrei. Tutti. Indistintamente.

Fra le tante leggi della persecuzione c'era il coprifuoco.

Alle 20.00: senza esenzioni.

Jakob però si è attardato e siccome gli è proibito avere un orologio (l'ora appartiene ai tedeschi non agli ebrei nella logica malata del ghetto) si orienta con la luce del sole e con le ombre della notte.

Una guardia però lo sorprende e gli comunica che è troppo tardi per andarsene in giro. Ha sbagliato. E inevitabilmente dev'essere punito. Ben inteso, per questo errore potrebbe essere anche ucciso. Ma la guardia preferisce comandargli, forse per schernirlo, di essere lui stesso a domandare la punizione, pregando cioè l'ufficiale in comando di applicargliela dopo aver ammesso la sua trasgressione.

Pertanto Jakob si reca nell'ufficio dove rimane il Comando e qui, mentre cerca la persona cui riferire i suoi tristi ordini, casualmente apprende un dispaccio radio sull'avanzata dell'esercito sovietico.

Le informazioni erano naturalmente proibite agli ebrei. La loro esistenza del resto era considerata solo una parentesi in attesa della «soluzione finale».

Il significato era semplice: nessuna prospettiva, nessuna aspettativa.

Jakob però ha un intuizione. E quando apprende di essere stato oggetto di una semplice burla, un malsano umorismo in nero, per quanto riguarda l'orario non essendo ancora arrivate le fatidiche 20.00 della sera nel mentre che si affretta al ritorno a casa riflette su quell'informazione.

Sul suo valore, oltre il significato della notizia in sè.

Comincia perciò a raccontare una storia ai suoi compagni di sventura, nel ghetto, nel microcosmo della non vita.. una storia basata sull'idea di possedere quelle informazioni proibite. Grazie ad una radio. Un mezzo di comunicazione. Perchè la conoscenza è più che potere. E' uno squarcio che perfora il mallo della bugia nazista.

Il paradigma che annida nella scelta di Jakob è sostanzialmente quello che è meglio una bugia che alimenta la speranza piuttosto di una verità che la distrugge.

Jakob quindi diventa portatore di speranza.

Nel suo piccolo, in quel girone dell'inferno dantesco fatto di ossessioni frutto dell'iracondia volontà di annichilimento. In un ghetto che paradossalmente e spudoratamente si trova non lontano da chi, all'opposto degli ebrei, ha il diritto di nascita di poter vivere. Jakob crea un alternativa. E il fuoco della speranza divampa. Pur nella membra stanche di chi non ha da mangiare o da bere, di chi non conosce i principi più basilari dell'assistenza sanitaria o non ha più il diritto alla proprietà privata, la speranza divampa.

Grazie alla possente consapevolezza che c'è un mondo la fuori che reagisce alla ragionata follia nazista.

Ed esiste quindi la possibilità che la parola fine si avvicini ben oltre il desiderio sussurrato da menti ancora tormentate, vessate, impaurite, incatenate all'inferno costruito dagli uomini su misura per testimoniare quanto la razza umana sia impietosamente colpevole di un crimine senza eguali.

Ho letto «Jakob il bugiardo» molti anni fa e ho ritenuto di volerlo recensire per la sua intima semplicità nel riportare concetti di così profonda complessità attraverso una storia vera e commovente.

Non sono mai stato un insegnante, ma se lo fossi stato, in particolare di italiano o di storia per certo questo testo lo avrei consigliato ai miei studenti.

Stimolante per le definizioni, a tratti quasi eclettiche, degli scenari che sembrano un pò fiabeschi con uno stile dark tipico dei fratelli Grimm o di Conrad nel rendere quest'atmosfera di pesantezza impenitente che poi si traduce in un pericolo immanente. Nel contempo il narratore, che è terzo, cioè colui che ha conosciuto Jakob e ne riporta le gesta, dipinge una realtà quasi al contrario, capovolta, un mondo di Escher se vogliamo, dove ci si può addirittura uccidere pur di non partecipare a questo circo degli orrori.

E questi toccanti ricordi, sviscerati attraverso il paragone con ciò che la realtà ambientale, la città stessa, era prima della trasmutazione nel ghetto sembrano quel tocco di magia nera che manca al teatro degli eventi dove va in scena la disperazione. Ma anche la voglia di riscatto.

Ed è questo il punto straordinario dell'esposizione, perchè da una prima fase narrativa in cui tutto sembra avvolto dal decadimento quasi come la corrente letteraria dell'800 c'è una sorta di riscatto che parte dall'eroe più improbabile. L'uomo comune.

Un coraggio eroico che da un gesto viene a delineare il fallimento della macchina di morte nazista capace di uccidere solo il corpo, ma non la mente.

Jakob vince perchè la sua sottomissione è fallita.

Poca importanza ha la punizione.

Le implicazioni di un sotterfugio hanno abbattuto la matematica efficienza della persecuzione. Soggiogata dalla strategia vincente del baro che inganna con un prestigio la realtà circostante vincendo su tutte quelle meticolose privazioni che diventano un banale quanto temporaneo atto di umana pazzia.

Il finale è visionario. Il romanzo comincia con le considerazioni sugli alberi. Che nel ghetto sono proibiti e sulla malinconia che si prova a non averli più accanto, a distanza di vista. Perchè il verde era speranza di libertà contro il grigiore dell'appiattimento tipico sinonimo di tristezza. Le loro fronde che non dispensano pila quiete dell'ombra, ma che alla fine ritornano. In un viaggio. A bordo di un treno che sfreccia verso il destino. Lasciando che a bordo qualcuno possa rivedere quegli alberi. Forse per un ultima volta. Tanti commentatori hanno ipotizzato che il viaggio finale altro non sia che il trasferimento sui vagoni della morte dal ghetto al campo di concentramento, ma non pochi hanno ipotizzato che in realtà fosse semplicemente la fine preannunciata di una situazione che è come l'evento compiuto. Il punto al termine della frase. Oltre la quale ci sono di nuovo gli alberi.

«Jakob il bugiardo» è un testo che unisce originalità narrativa ad un pregevole espediente creativo affrontando un tema difficile cui noi oggi siamo orgogliosamente chiamati al ricordo. Il libro è testimone più che legittimo di una storia vera a vantaggio dei lettori che nulla tolga al singolo, nell'intima conoscenza personale, e nel contempo si riversa silenziosamente sulla collettività.

Perchè è così che dal ricordo delle tante storie della Shoah nasce la riflessione. Nel silenzio, come la bugia di Jakob. E forse è un bene. Forse ci salverà, permettendoci di guardare oltre ciò che vogliono mostrarci tra gli echi del passato e gli spettri del presente.

Consigliato a tutti (specialmente a chi, fa del negazionismo plausibile una stravagante osservanza e dimentica che si può solo scegliere di dimenticare non far finta di non ricordare).

Marco Solferini.
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domenica 25 gennaio 2015

Il dio del deserto

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Il dio del deserto

Autore: Wilbur Smith.
Genere: avventura.

Ritorna l'Egitto del grande stratega Taita, l'uomo più fidato del Faraone. Colui che ha riscattato il proprio status di schiavo per diventare una delle menti più illuminate della sapiente civiltà egizia.

Un nemico tuttavia minaccia la stabilità dell'impero. I feroci Hyksos insidiano il territorio e i confini del regno vengono messi a dura prova. E' tempo di alleanze, ma con una mossa a sorpresa i barbari avversari del Faraone hanno stretto un patto con il Supremo Minosse.

La civiltà minoica, al suo apogeo di forza nell'isola di Creta, possiede il più potente esercito del mondo conosciuto e sopratutto un invincibile armata navale.

Taita è consapevole che se quest'alleanza non verrà rotta potrebbe rappresentare la fine per l'Egitto.

Per questa ragione escogita un piano ambizioso quanto diabolico. Una missione per poche centinaia di soldati scelti che simuli il tradimento degli Hyksos per rubare la più grande fortuna in argento che sia mai stata concepita prima. Un vero e proprio tesoro che appartiene a Minosse.

Lo scopo di Taita è riempire i forzieri del suo Faraone e agendo sotto il minimo comune denominatore del «divide et impera» dopo aver rotto l'alleanza con i minoici suggellarne una con il Supremo Minosse grazie alla dote delle due bellissime figlie del Farone.

Il destino porterà Taita sulla rotta di un viaggio senza precedenti: attraverso il deserto, nelle terre della grande Babilonia e fino all'isola di Creta dove dimora il Dio Crono padre dello stesso Minosse.

Nel corso di ogni impresa le truppe egiziane sotto il suo comando insieme con i coraggiosi e fedeli generali affronteranno i sanguinari Hyksos, conosceranno il tradimento e l'inganno e per Taita, nella magica Babilonia ci sarà finalmente la rivelazione sulla sua origine e del perchè della sua lunga vita e delle straordinarie capacità che appartengono al suo intelletto.

Sarà sufficiente l'audacia e il coraggio di pochi per riuscire a stringere l'alleanza con il mitico Minosse e unire due eserciti? L'amore riuscirà a prevalere sui desideri imperiali o rimarrà uno strumento ad appannaggio esclusivo della volontà dei sovrani?

Una corsa contro il tempo, una guerra senza quartiere per mare e per terra. E nel frattempo, il potente Dio Crono sta per risvegliarsi pronto ad abbattere la sua furia sugli uomini.

Avventura allo stato puro: Wilbur Smith non tradisce le aspettative.

Torna, dopo tanti anni, nel suo Egitto e lo fa con lo stile unico di uno scrittore che riesce a strappare il cuore dei lettori fino all'ultima pagina in un susseguirsi di eventi al cardiopalma.

Azione a tutto campo. Duelli per mare e per terra. Il mito che si fonde con la storia laddove gli dei diventano protagonisti insieme con la volontà degli uomini e l'amore delle donne.

Capitoli come sempre entusiasmanti concepiti e organizzati in ragione della loro rapidità di lettura in paragrafi che focalizzano l'azione sul dato oggettivo del protagonista quale epicentro promanante di una convincente visione narrativa.

L'uomo di scienza è colui che riconosce il potere e l'influenza del divino e che si erge autoplasmandosi per il suo piacere edonista e narcisista al di sopra degli intelletti altrui. Così Taita diventa lo stratega macchiavellico di un complotto in stile Sun Tzu.

Ma è anche il condottiero che soggettivamente sposta la dialettica della storia, dal punto di vista narrativo, sugli eventi.

L'Autore è sempre stato un maestro in questo passaggio lineare che sembra un capovolgimento di fronte: un cunicolo aperto per il salto temporale da una fase descrittiva ad un esplosione di contenuti i cui effetti sembrano un big bang destinato a riassorbirsi solo al termine degli eventi.

L'inevitabile corsa contro il tempo rappresenta la volontà di costruire un climax classico. Con un crescendo in attesa del gran finale. Mistero, passione e pericolo. Sono questi gli ingredienti delle ultime 100 pagine che bruciano le tappe.

Straordinario il tasso di coinvolgimento grazie all'ottimo legame empatico che l'Autore instaura con il lettore.

Il tasso di storicità cede il passo all'avventura. Il romanzo non ha volontà di erudire il lettore a differenza del più classico filone «storico». L'apprendimento si limita in questo caso a una serie di buone descrizioni che permettano al lettore di calarsi nei panni dell'osservatore consapevole.

L'unica cosa che manca e che avrei incluso è una cartina geografica. Ancora mi chiedo come mai ci si ostini a non metterla in casi come questo. In alcuni romanzi c'è, in altri invece no.

Dialoghi efficacissimi. Caratterizzati da una immediatezza possente e corposa. Ciascun soggetto gode della propria autonomia legata tuttavia all'epicentro del protagonismo narrativo incardinato sempre su Taita e il «suo» modo di concepire la realtà contemporanea.

Questo sviluppo rappresenta oggi una parziale novità rispetto al passato degli anni 90 in quanto si ha la tendenza, nella contemporaneità narrativa, a introdurre dei coprotagonisti il cui ruolo a volte supera addirittura il soggettivismo di colui che dovrebbe essere il protagonista. In alcuni casi è persino difficile stabilirlo (si pensi a Stieg Larsson nella sua trilogia “Millennium” laddove il personaggio femminile di Lisbeth Salander supera il protagonista maschile Mikael Blomkvist, giusto per avere un esempio).

Smith appartiene ad un altra scuola di pensiero ed è piacevole ritrovarla in quella che è ancora una delle cifre narrative più efficaci nel genere avventura. La linearità verticale dello sviluppo senza “cellette” letterarie o griglie di riempimento di mera interpretazione fattuale finalizzate alla descrizione.

«Il dio del deserto» è un straordinario romanzo d'avventura. Un emozione da non mancare. Strategia, guerra e duelli, in mare o per terra, dall'Egitto fino alla mitica Creta del Supremo Minosse passando per la magica Babilonia. Un tornado di emozioni che trascina il lettore fra il mito degli dei e il coraggio degli uomini.

Uno dei più grandi Autori di tutti i tempi firma un romanzo che lascia il segno.

Consigliato a tutti.

Marco Solferini
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