venerdì 27 gennaio 2017

Giustizia, non vendetta.

Un ringraziamento particolare agli sponsor: 

Libreria - Galleria
IL SECONDO RINASCIMENTO
Via Porta Nova 1/A (ang. via C. Battisti) - Bologna
Il luogo ideale dove trovare i Tuoi Libri
http://www.ilsecondorinascimento.it/
 ***
Palestra Performance 
Centro estetico e fitness.. nel cuore di Bologna
* * *

La rivista culturale: "Il Salotto degli Autori" ( http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria "Carta e Penna"
* * *

Giustizia non vendetta

Autore: Simon Wiesenthal
Genere: drammatico, storico.

In quest'opera l'Autore, celebre per l'appellativo di “cacciatore di nazisti” ci narra la sua storia. Personale e struggente. Da un lato. Quello di chi ha potuto vivere in prima persona la macchina di morte più atroce del 900 L'Olocausto.

Ma una storia anche coraggiosa e infaticabile. Un elencazione di circostanze e di dialoghi orientati a quella che è stata la successiva “caccia” su scala mondiale a coloro che, nel III° Reich e nel partito nazista furono non solo volontari carnefici della macchina di morte antisemita ma anche stretti collaborazionisti.

Due sono i criminali che incontriamo in questo romanzo e per i quali è bene tenere viva la memoria.

In primis gli assassini. Possiamo chiamarli in tanti modi ma chi estingue una vita è anzitutto un assassino. Sono coloro che hanno ucciso. Per futilità. Odio. Tornaconto. Ignoranza. Costoro, anche se in proporzioni disumane, sono anzitutto gli assassini. E ben inteso non possiamo certo limitarci a chi ha premuto il grilletto. Ma anche a coloro che hanno “ordinato” gli omicidi. Come pure a chi, più vigliaccamente, si è nascosto dietro la semplice esecuzione di ordini.

Perchè l'Autore ha dato la caccia a tutti coloro che si sono resi, a diversi livelli, responsabili di crimini atroci. Anzitutto contro l'umano senso di civiltà. Il negazionismo della ragione. L'annullamento nichilista dell'evoluzione. Una grande raccolta di atti, prove, testimonianze. A futura memoria.

Ecco chi erano nell'elencazione e nelle spiegazioni che fornisce l'Autore, i carnefici nazisti.

E spesso l'Autore si sofferma sul concetto di “spiegazione”. Nei suoi dialoghi, mentre cerca verità per onorare la giustizia, si accorge che coloro con cui parla, a volte persino chi, riluttante o meno, lo aiuta, non comprendono fino a fondo le sue motivazioni. Si fermano al semplice desiderio di vendetta.

Ma, ed è questa la seconda categoria di colpevoli che incontriamo nel romanzo, oltre agli omicidiari sicari del nazismo ci sono coloro che hanno messo al servizio della macchina di morte le arti e la scienza. La tecnica. Fornendo metodi più rapidi e sicuri, persino meno costosi, per procedere all'eliminazione di un intero popolo.

Un contributo oscuro. Che non può rimanere impunito.

E che mi permette di svolgere una digressione. Arrivando ai giorni nostri. Nell'era dell'informazione e della comunicazione di massa dove però si è sviluppato il senso opposto, cioè l'incapacità di assimilare i contenuti.

Assistiamo partecipi all'era dove poco resta. Tutto passa. E passando si sciupa.

Anche oggi gli ebrei e il popolo di Israele sono costantemente oggetto di aggressioni. A volte fisiche, omicidiarie. Per il solo fatto di essere nati ebrei. Ma non solo. Sono oggetto di un odio meno diffuso. Più nascosto. Celato agli occhi della ragione che rende meno colpevoli e perseguibili. Un odio che si nasconde dietro le giustificazioni.

Assistiamo quindi a un diverso concetto di ritorsione.

Dove le vittime diventano in parte colpevoli.

Ma così non è. La mente dell'occidente sta partorendo una distrazione colpevole elaborata sulla base di un rifiuto meticolosamente orientato come un puzzle dove si mescolano i pezzi della conoscenza e della coscienza.

Ogni pezzetto cioè diventa parte di un teorema e quel teorema a sua volta rappresenta un ritrovato senso di antisemitismo.

Come negli anni 30, agli albori del Nazismo, tante, troppe persone si schierano contro Israele. In nome di una colorata moda pacifista le cui forme e colori sono una psichedelica caricatura di informazioni distorte annacquate da luoghi comuni più leggendari che responsabili. Il suo Popolo viene emarginato e isolato. Perseguitato da un vocabolario orientato a concepire situazioni, terminologie, attività, e quant'altro indichi un “pericolo”.

Non posso e certamente non voglio dimenticare i fatti atroci che si sono svolti nel passato ma vorrei che venissero trasmessi, oggi, non come un ricordo che è trapassato nella memoria nella convinzione che non si possa ripetere. All'opposto, esso andrebbe attualizzato. Ed è grazie ad opere immortali come questa che si può cogliere non tanto l'aspetto narrativo bensì il sottinteso elemento espositivo, a livello psicologico. Quel che resta. Ciò che è stato. Ciò che potrebbe tornare ad essere.

E nel romanzo l'indagine racconta prima di tutto le vittime. Impronte dimenticate nello sbiadire del tempo. Il loro desiderio di ottenere appunto giustizia non vendetta.

Oggi, tale compito, ricade su tutti noi affinchè il loro sacrificio non sia vano.

Consiglio vivamente a tutti questo romanzo.

Avv. Marco Solferini
puoi trovarmi anche su:







lunedì 16 gennaio 2017

Il libro dei Baltimore

Un ringraziamento particolare agli sponsor: 

Libreria - Galleria
IL SECONDO RINASCIMENTO
Via Porta Nova 1/A (ang. via C. Battisti) - Bologna
Il luogo ideale dove trovare i Tuoi Libri
http://www.ilsecondorinascimento.it/
 ***
Palestra Performance 
Centro estetico e fitness.. nel cuore di Bologna
* * *
La rivista culturale: "Il Salotto degli Autori" ( http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria "Carta e Penna"
* * *

Il libro dei Baltimore

Autore: Joel Dicker
Genere: drammatico, sentimentale.

L'Autore ci presenta una una trama pulita e lineare. La storia di tre giovani. Da ragazzini a uomini maturi. Adulti con un passato in comune.

Una vicenda famigliare giocata su tre fronti narrativi.

Il passato, che comincia dall'adolescenza e prosegue nella maturità di quella che è la “Gang dei Baltimore”. Il presente del 2012. E un intermezzo, sei anni prima, che sembra una sorta di epilogo della più completa vicenda.

Prima di prodursi nel filone centrale cioè quello della storia dei giovani Goldman, Marcus di Montclair e i suoi cugini Woody e Hillel di Baltimore, l'Autore fornisce un approfondita analisi del sentore percepito dal protagonista, Marcus, avuto riguardo ai suoi ricordi.

In pratica definisce quella che è l'enfasi del paragone che via via diventerà una marginalizzazione che Marcus, il protagonista, ha sentito nella giovinezza relativamente al ramo ricco della Famiglia cui appartengono i cugini di Baltimore.

Il lettore quindi viene presentato alla storia, indottrinato al punto di vista che sarà quello del narratore in prima persona e pertanto acquisisce le movenze essenziali per spaziare nell'indagine del passato.

Quel che infatti emerge non è esattamente una storia bensì un insieme di rimembranze a mò di episodi tra loro collegati ma a ben guardare ciascuno autonomo. Dotato cioè di una propria categorizzazione. Troviamo infatti la conoscenza dell'amico portatore di handicap, il bullismo, l'amore adolescenziale, l'ambizione, l'invidia, il realismo.

Sono episodi inseriti nello scheletro della narrazione di base.

Non penso che si possa parlare di epopea dei Baltimore in quanto il testo pur se scritto in maniera semplice, visiva e di facile percezione manca di un livello introspettivo che lo elevi a opera letteraria per qualità superiore. I capitoli episodici sono accattivanti ma anche molto scontati.

In ogni caso la centralità dei protagonisti è influenzata dal loro essere degli stereotipi dichiaratamente recitati fino in fondo. La personalità di ciascuno ne risente. Capisco la necessità di inserire la forza in persona dell'atleta ragazzo difficile dal passato “povero” adottato dai Baltimore (Woody) e un suo paradossale opposto rivisitato nella sapienza dell'intellettuale dialetticamente abile con le parole, ma fisicamente debole (Hillel).

Tuttavia un individuo non è “solo” questo. Può esserci un tratto saliente del carattere ma non può esserci solo quello.

Invece in questo romanzo ci sono centinaia di pagine dove viene riciclato unicamente questo aspetto e per effetto il lettore sa già cosa aspettarsi. Cambia il contesto, anche in ragione all'età dei protagonisti, ma la tecnica rimane la medesima e il risultato anche. Manca, appunto, il salto di qualità che non arriva dopo le prime 100 pagine come pure fino alla fine.

Adattamento non è evoluzione. Il narratore sapiente, lo scrittore di talento ben conosce la differenza e organizza il “montaggio” delle proprie disquisizioni a mò d'esempio in virtù di quella che è lo scheletro narrativo. Altrimenti il risultato è un limbo. Come in questo caso.

Il protagonista non è altro che l'unico “umano” in quanto esponendo con manierismo introspettivo il proprio punto di vista è colui che residua a misura d'uomo. Nel bene e nel male. Il rapporto di empatia si sviluppa non per ammirazione ma per assimilazione cioè per una simpatia verso l'unico che non è uno stereotipo.

Purtroppo dal punto di vista della focalizzazione soggettiva pretendo di più. Potrei soffermarmi sui grandi classici della letteratura dell'est e sulle profondità cognitive di un espressione più armonica e generosa dell'essere umano concepito, destrutturato, rinato e riproposto al lettore, ma pur non ambendo a toccare queste cime devo anche, in quanto lettore, celebrare la mia personale ricerca introspettiva che “chiede e pretende” da un Autore qualcosa di più.

L'amore ha un ruolo essenziale nello sviluppo della storia. Ma il personaggio femminile, Alexandra, è un disastroso esempio “uso e getta”. Del tutto funzionale ai singoli episodi la sua indole è martirizzata dall'essere l'oggetto del desiderio di tutti i protagonisti mentre lei è un involucro vuoto, per niente approfondito. Una femminilità ridotta alla sessualità. Alla bellezza che abbaglia e coinvolge ma senza un anima di fondo di cui effettivamente innamorarsi.

L'insieme di questo romanzo è una serie di tentativi a mio parere falliti. La figura dello zia Saul che rivela fragilità, debolezze e incongruenze di fondo fino a portare a delle rivelazioni anche poco probabili sulla storia della Famiglia e sull'episodio definito “la tragedia” ne è un esempio abbastanza evidente. Un catalizzatore che serve per “spiegare” gli eventi e che in modo argilloso viene usato a questo solo scopo.

Con tecnica pirandelliana lo scrittore introduce l'evento “tragedia” sempre prossimo fin dall'inizio del romanzo e teoricamente rivelatore che poi ci viene raccontato dopo centinaia di pagine come se fosse l'atteso climax narrativo attorno al quale la cifra letteraria dell'Autore avrebbe dovuto costruire personaggi il cui spessore sarebbe dovuto essere funzionale proprio allo svolgimento finale. Un metodo di costruire la narrazione che coinvolge e crea aspettativa. Molto ambizioso e difficilissimo da realizzare.

Il risultato è scadente. Per nulla credibile tanto nella dinamica dei fatti quanto nelle scelte comportamentali. Il lettore si troverà a storcere il naso patendo un senso di angoscia che non trova alcun riscontro risolvendosi in un classico amaro in bocca.

“Il libro dei Baltimore” è stato per me un romanzo mediocre, a tratti scadente. Mi è piaciuto poco se non addirittura per niente laddove ho faticato a salvare singole parti anche nell'ottica di sfoltire qualche centinaio di pagine per individuare un corpus narrativo di miglior pregio.

Lo sconsiglio.


Avv. Marco Solferini
puoi trovarmi anche su: