sabato 27 luglio 2013

La verità sul caso Harry Quebert

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La verità sul caso Harry Quebert

Autore: Joel Dicker
Genere: giallo, drammatico.

 

Marcus Goldman è un giovane scrittore di talento che abita a New York. Ad appena 34 anni ha già firmato un romanzo che lo ha reso una celebrità. Tuttavia, da tempo non riesce più a produrre nulla. Le sue pagine bianche sono il risultato della difficile patologia nota come il blocco dello scrittore.

Per superarlo Marcus prova di tutto, finchè non decide di chiamare il suo amico e mentore Harry Quebert. Anch'egli celebre scrittore, a metà degli anni 70 scrisse un romanzo: «Le origini del male» considerato uno dei capolavori della letteratura dell'ultimo secolo. Professore di letteratura all'Università di Burrows è stato la principale fonte di ispirazione di Marcus oltre che il suo migliore amico.

Harry decide di ospitare il suo giovane allievo presso la villa di Goose Cove, situata vicino alla città di Aurora nel New Hampshire. Una località isolata, immersa nel verde delle foreste, ma fiancheggiata dalla bellezza dell'oceano, sulle cui spiagge lo stesso Harry ha più volte ritrovato l'ispirazione.

La comunità locale considera Quebert una vera e propria leggenda cui in un certo senso tutto è dovuto dato anche il lustro che la sua presenza tributa alla piccola città.

E' durante questa breve vacanza che fra l'altro Marcus scopre l'esistenza di un passato amore dell'amico Harry. Una giovanissima donna di appena 15 anni, di nome Nola Kellergan. Un amore proibito perchè nel 1975 lui aveva 34 anni. Un amore però, anche negato dal fato perchè Nola alla fine d'agosto di quello stesso anno in una notte di sangue, scomparve senza lasciare tracce.

Un mistero che sembra essersi smarrito nel tempo, alimentato solo dalla memoria.

Poco dopo il ritorno di Marcus a New York succede l'impossibile: una banale operazione di giardinaggio nel giardino della villa di Harry porta alla luce il cadavere della piccola Nola, insieme ad una sacca contenente una copia originale del romanzo «Le origini del male» con una dedica d'amore alla giovanissima vittima.

Lo scandalo esplode in tutta la sua ferocia. Quebert viene arrestato e imprigionato in attesa di giudizio, mentre la polemica infiamma in tutta la nazione dove la pubblica opinione censura il giovane amore, classificandolo come malato, deviato, inadeguato vista la differenza d'età e, forse.. omicida.

Marcus però crede nell'innocenza di Harry cui non è rimasto niente se non il suo allievo.

In custodia detentiva, mentre il suo avvocato si batte con ogni cavillo per cercare di farlo rilasciare Quebert affida a Goldman il compito di indagare gli eventi di così tanti anni fa.

Perchè risolvere l'omicidio di Nola Kellergana può essere l'unica chance di risparmiargli la pena capitale e riabilitare il suo nome.

L'indagine però non è affatto semplice. Non solo infatti è passato molto tempo, ma la comunità di Aurora ha molti più segreti da nascondere di quanto a prima vista non sembri. Temporaneamente stabilitosi nella villa di Goose Cove, Marcus riepiloga ed indaga i fatti del passato, e nel contempo fa la conoscenza di una serie di personaggi che hanno avuto a che fare sia con Harry che con Nola e il cui rapporto ha direttamente o meno influenzato il loro futuro.

Ci sono il ricchissimo Elijah Sern ed il suo autista / uomo di fiducia, lo sfigurato deforme Luther Caleb, morto in un misterioso incidente d'auto.

La famiglia proprietaria del locale tavola calda Clark's dove Harry ha conosciuto la cameriera del sabato Nola: i Quinn, Tamara, madre della giovane e bella Jenny e Robert, suo marito.

Poi ci sono i genitori di Nola, il pastore David e la moglie Louisa, come pure il Capitano Gareth Pratt e l'agente Travis Dawn.

Incalzato dal proprio editore, uno squalo senza scrupoli dell'editoria moderna, Marcus cercherà l'aiuto del sergente Gahalowood della squadra omicidi di Stato, instaurando con questi un rapporto d'amore / odio finalizzato a scoprire cosa è veramente successo quella sera di tanto tempo fa. Quando un anziana donna di nome Deborah Cooper chiamò la polizia segnalando di aver visto nella foresta una ragazza inseguita da un uomo, scatenando una serie di eventi che la sera stessa portarono all'omicidio della Cooper trucidata in casa propria e alla scomparsa di Nola.



Misteri, menzogne, bugie e segreti inconfessabili.

La città di Aurora sarà rivoltata come un guanto da Marcus Goldman determinato a rivelare la verità sul caso Harry Quebert.

Quando ho cominciato a leggere questo romanzo sono rimasto piacevolmente appassionato sia dallo stile di scrittura pulito, lineare, ben argomentato senza mai essere invadente come pure dalla trama che si rivelava appassionante.

Ho avuto la sensazione di stringere fra le mani un ottimo giallo. Complice anche il fatto che ogni capitolo era piacevolmente introdotto da uno dei 31 consigli su come si scrive un romanzo, impartiti da Quebert al suo allievo Goldman.

Nel proseguo della corposa lettura (più di 750 pagine) ho tuttavia dovuto rivedere più volte la mia posizione.

Anzitutto corre l'obbligo di rilevare come, dal mio punto di vista, ci siano numerose e significative similitudini tra questo romanzo e «Uomini che odiano le donne», il celebre thriller dell'Autore Stieg Larsson.

Elencherò di seguito le ragioni per cui ritengo che lo schema narrativo, sia lo stesso e che siano stati cambiati soltanto alcuni elementi oggettivi e soggettivi per adattarlo al nuovo contesto. In pratica a mio avviso è stato utilizzato lo stesso paradigma per costruire la narrazione.

1) In «Uomini che odiano le donne» il protagonista è un giornalista di successo, ma caduto in disgrazia la cui reputazione è sul baratro perchè ha pubblicato una notizia non vera.
Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista è Marcus Goldman, un scrittore di successo, ma caduto in disgrazia perchè non riesce più a scrivere causa il blocco dello scrittore.

2) In «Uomini che odiano le donne» il protagonista agisce sulla spinta forzosa quasi un ricatto e dietro laudo compenso di un uomo molto ricco l'industriale Henrik Vanger che lo finanzia nelle sue indagini.
Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista agisce sulla spinta forzosa, quasi un ricatto (il contratto editoriale che deve osservare) del proprio editore Bernaski che lo finanzia allo scopo di pubblicare l'esito delle sue indagini in un nuovo romanzo.

3) In «Uomini che odiano le donne» il protagonista agisce per salvare la propria rivista «Millennium». Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista agisce per salvare il proprio amico Quebert dall'accusa di omicidio.

4) In «Uomini che odiano le donne» il protagonista abbandona la città per andare in una comunità cittadina più isolata situata in un isola dove indaga conoscendo fatti e persone di questa comunità. Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista abbandona la città per andare in una comunità cittadina (Aurora) isolata, dove indaga fatti e persone di questa comunità.

5) In «Uomini che odiano le donne» il protagonista indaga la scomparsa di una giovane donna verificatasi molti anni prima e dietro la quale si nasconde un fatto di sangue. Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista indaga la scomparsa (omicidio) di una giovane donna verificatasi molti anni prima e dietro la quale si nasconde un fatto di sangue.

6) In «Uomini che odiano le donne» il protagonista abita in una residenza distaccata dal centro cittadino che diventa il suo quartier generale per le indagini ed è convinto che l'omicida sia qualcuno del posto che malgrado il tempo passato non abbia cambiato residenza, avendo nascosto il proprio segreto. Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista abita in una residenza distaccata dal centro cittadino (la villa di Goose Cove) ed è convinto che l'assassino sia qualcuno della comunità locale.

7) In «Uomini che odiano le donne» i personaggi che si scoprono con il tempo vengono visitati e/o indagati a distanza dal protagonista con atteggiamento giornalistico, fra vecchi documenti e alla scoperta di rapporti interpersonali, antipatie, segreti tra le persone della comunità. Ne «La verità sul caso Harry Quebert» il protagonista fa lo stesso.

In realtà potrei elencare numerose altre analogie. Preferisco però fermarmi per non trasformare questa recensione in un saggio.

Tuttavia, credo sia giusto sottolineare che in «Uomini che odiano le donne» il protagonista è aiutato da Lisbeth Salander, un hacker professionista capace di «bucare» il sistema cioè offrire quel genere di supporto che un normale cittadino non è in grado di avere e di cui le indagini invece hanno bisogno per forzare un pò la mano. Ne «La verità sul caso Harry Quebert» lo stesso scopo è realizzato «dall'aiutante» infastidito, ma anche in fin dei conti disponibile, agente della polizia di Stato Perry Gahalowood che insomma «serve» perchè un distintivo «buca» il sistema ed è necessario per forzare un pò la mano.

Ovviamente, Lisbeth è un personaggio straordinario, forse uno dei migliori creati negli ultimi 10 anni ed il suo carisma, per contenuti e antropologia culturale è un atto di genialità cui non tutti gli scrittori possono arrivare. In alcuni casi occorre accontentarsi di molto meno.

«Uomini che odiano le donne» è stato un thriller il cui successo ha ispirato molto il mercato e naturalmente è logico supporre, anche numerosi Autori. Ne hanno del resto tratto una serie di film di successo.

A questo punto però, come lettore mi chiedo, pur senza riferirmi al caso in commento, quale sia il limite fra la creatività personale ed il plagio. Giacchè quest'ultimo, nell'ambito di un opera letteraria, non consiste solo ed unicamente nell'appropriazione della medesima, bensì nella sua componente parziale, si potrebbe configurare anche in presenza di una forte ispirazione derivante dall'altrui lavoro. Sostanzialmente quindi, si finirebbe per decadere nel vasto arcipelago della copia.

Viceversa, ci si può certamente ispirare per realizzare su carta un idea per un romanzo senza che questo comporti l'usurpazione di qualcosa che non appartiene all'Autore.

In quest'ottica va osservato che fra i due romanzi citati esistono anche dei sensibili distinguo, in particolar modo verso il finale. Del resto però, vien da pensare che se così non fosse, allora non ci sarebbe nemmeno da porsi il dubbio relativo alla natura delle similitudini.

Se prendiamo queste due opere e le mettiamo a confronto su due bacheche ci rendiamo conto come sia ben più che semplicemente ipotizzabile che l'Autore abbia scritto il proprio romanzo sulla base di un paradigma, di uno schema narrativo che è molto, veramente molto simile a quello di «Uomini che odiano le donne».

Non spetta a me dare un giudizio, ma quale critico non posso nemmeno, nell'interesse dei lettori, non mettere in rilievo questo aspetto. Demandando poi ad altre competenze l'eventuale approfondimento.



Come sopra espresso, nelle 750 pagine del romanzo ci sono però anche degli elementi del tutto caratterizzanti la narrazione ed i protagonisti che rappresentano un vero e proprio ambito culturale entro il quale vengono elaborate le emozioni e somatizzati i comportamenti. Il microcosmo cioè delle relazioni, è basato su alcuni interessanti archetipi, forse frutto anche di alcune convinzioni dell'Autore.

Anzitutto, il concetto di apparenza inteso come inganno, simulazione. Lo ritroviamo praticamente ovunque. Sicuramente nella vicenda caratteriale de «il formidabile», poi nel comportamento autodistruttivo di Harry Quebert (la vera paternità del suo romanzo e la sua immeritata gloria), ma anche nella semplice reazione che provoca negli altri il volto sfigurato di Luther Caleb, come pure la spasmodica ricerca di un successo fatto di luci della ribalta di Tamara e Jenny Quinn.

Sono solo alcuni degli esempi più significativi di come il concetto di apparenza diventa una falsa rappresentazione del sé, dal punto di vista sociologico, a tal punto penetrante che non solo influenza l'agire del prossimo, ma anche il proprio. Schiavizzando addirittura se stessi.

Incontriamo poi il concetto di «arte» sia scrittura creativa che pittorica; in entrami i casi l'arte rivela l'animo umano più delle parole. Scoperchia la dolcezza e vince sull'apparenza quindi sconfigge i limiti della negletta mentalità basata su giudizi approssimativi, utilitaristi e opportunisti.

I concetti quindi, come elementi per coniare alcuni personaggi e rivelarli al lettore li ho molto apprezzi.

Penso inoltre che la contrapposizione fra passato e presente sia stata organizzata in modo sapiente e preciso.

E' altresì buona e coinvolgente la caratterizzazione, con indagine introspettiva, dei protagonisti in rapporto alla mentalità riservata della comunità, cui si aggiunge un misto di timore riverenziale verso ciò che è sconosciuto. Sulla falsa riga si genera anche il tema della caccia alle streghe frutto del pregiudizio e della morale che rappresentano un temibile giudice, giuria ed esecutore tanto nel 1975 quanto nel 2008.

Questo aspetto genera fra l'altro un effetto molto coinvolgente che appassiona il lettore lo tiene, come si suol dire concentrato dalla prima all'ultima pagina.

L'amore è un inno alla gioia, alla libertà di autodeterminarsi, alla pienezza della vita e per converso al dramma del suo opposto: la solitudine. E' passionale, irruento, non accetta compromessi e sembra una sorta di magia. Ma è anche decisamente molto, forse troppo ripetitivo in questo suo essere travolgente. Dall'amore scaturisce la lotta fra la volontà (determinazione) e l'immaginazione che veicola un obiettivo. Realizzabile o meno come può essere diventare scrittore, vincere il campionato di Boxe, scappare con il proprio amato, pubblicare un grande romanzo, ecc. ecc.

Scarso il finale. Decisamente al di sotto delle aspettative. I colpevoli avevano avuto entrambi rapporti con le vittime, nell'un caso con Luther Caleb e nell'altro con la stessa Nola. La narrazione di questi eventi, nella pedissequa e oggettivamente eccessiva ripetizione a mò di ricostruzione dei fatti (che poteva anche essere decurtata di un centinaio di pagine), è un escamotage per ingannare il lettore. Una copertura cioè per escluderli dall'immaginazione di chi legge che è portato per effetto a scartarli dai possibili colpevoli. Capisco che non si voglia che qualcuno indovini chi sia l'omicida prima del gran finale però sviare il lettore lascia sempre l'amaro in bocca. Inoltre, i medesimi soggetti vengono più volte utilizzati come crocevia degli eventi per spiegare e mandare al loro posto alcuni tasselli del puzzle.

Nola è un contenitore vuoto. Una bambolona adolescente che agisce in modo unidirezionale e le cui incongruenze caratteriali sono giustificabili solo attraverso un altro escamotage che è quello della schizofrenia comportamentale alimentata dalla doppia personalità. Che tuttavia non copre del tutto le lacune e imperfezioni del personaggio. Basti pensare che non si fa problemi a «lavorarsi» il Capitano Pratt, però è pudica e riluttante quando si tratta di posare nuda per il quadro di Caleb..

Un altro punto molto debole è Harry Quebert. Non è proprio vero che confessa e dice la verità. Anzi, diciamo che racconta alle forze dell'ordine solo quello che è oggettivamente necessario per metterlo in galera e fargli rischiare la vita nel braccio della morte. Poi invece nasconde numerosi particolari che, unitamente all'evolversi delle indagini (dalla perizia calligrafica in poi) lo scagionerebbero davanti ad un giuria. Non occorre il grande Perry Mason per ricordarci che stante il principio di colpevolezza occorre fugare ogni dubbio. Qui invece ce ne sarebbero di ogni (arma del delitto, indagini insufficienti, movente e altro ancora, tutto scricchiola). In effetti, se noi proviamo a togliere di mezzo Marcus Goldman forse il caso Harry Quebert si smonterebbe da solo. Per giustificare il fatto che il grande scrittore rilascia più o meno ogni cento pagine nuove verità, indizi e quant'altro a rate, cioè un pò alla volta, arriva un altro escamotage che porta alla demolizione finale del personaggio Quebert, animato addirittura da elementi di invidia nei confronti del suo discepolo (ma non lo aveva ospitato a casa sua per aiutarlo a ritrovarsi prima che casualmente scoprisse la torbida passione nel suo passato?).

In quest'opera ci sono insomma parecchi aggiustamenti postumi, più che altro utili allo scopo di non essere tacciati di irrealismo, che danno l'impressione nel computo finale di una genialità di fondo. Ma a ben guardare così non è. Si tratta solo di un romanzo giallo ben organizzato ed elaborato dove a partire da metà opera c'è una ripetizione dei fatti e delle persone in stile «Cluedo», ma il narratore in realtà più che seguire un filo conduttore, fa quello che vuole. Come e quando vuole. Getta fumo negli occhi al lettore. Ad un certo punto, per fare un altro esempio, salta fuori il ruolo di Robert Quinn che sembra quasi il c.d. utile idiota. L'Autore funzionalizza i propri personaggi come burattini per ottenere il risultato che desidera attraverso una narrazione espositiva basata su di un manierismo manipolatore.

Purtroppo, questo si risolve in una mortificazione del romanzo giallo che in realtà diventa una messa in scena secondo un costrutto a tavolino. Paradossalmente realizzando lo stesso gusto per l'apparenza che nasconde il risultato falsato, così presente in alcuni dei protagonisti dell'opera.

Marco Solferini.
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marcosolferini.pubblicazioni@gmail.com


domenica 14 luglio 2013

E l'eco rispose

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E l'eco rispose.

Autore: Khaled Hosseini.
Genere: drammatico, esistenziale.



C'è una storia che Sabur racconta ai suoi figli prima di andare a dormire. In un villaggio povero, di agricoltori, nei pressi di Kaboul. Una storia della buona notte. E c'è una ninna nanna che li accompagna.

Ed è lì, in quel posto sperduto tra la polvere ed il tempo, che tutto ha inizio.

La storia della vita, intrecciata negli eventi del passato, dal 1949 agli anni 2000. Storie di persone, di luoghi, di parole.

E' la storia di Pari, la figlioletta di Sabur che va nella grande città per trovare un altra famiglia. Più ricca. Più benestante. Perchè l'inverno in quei piccoli paesi rurali, sperduti fra il deserto e le montagne si porta sempre via due o tre bambini. Il freddo assassino.

E' la storia di suo fratello Abdullah che l'accompagna in quello che sarà l'ultimo viaggio insieme e della promessa che fa a se stesso.

E poi è un susseguirsi di eventi che dal villaggio si spostano alla città.

Il coraggio e la colpa di una donna che pur nella miseria più nera si prende cura della sorella disabile. La scelta di una giovane moglie che non può vivere entro le mura dorate di una città che non capisce e fra le braccia di un marito che non la ama. La volontà di un uomo che dedica tutta la sua vita al servizio del proprio padrone e onora la memoria della sua casa nei duri tempi a venire. I sentimenti di chi fa ritorno nella terra natia e scopre quello che le parole della carta stampata non potevano raccontare: l'atrocità della violenza e la propria inutilità.

E ancora, è la storia di Pari non può bambina, che sembra figlia di nessuno se non del vento che soffia in quel di Parigi per portarla via ad ogni sua scelta. Circondata da tutto ciò che non capisce, ma si costringe ad accettare.

Storie.. per raccontare stati d'animo, concetti, eventi che la cronaca contemporanea ha sistemato fra l'attualità.

Hosseini è uno degli Autori più celebrati degli ultimi anni.

I suoi romanzi hanno impressionato il Mondo. Il suo stile si è imposto come una vera e propria scuola di pensiero. Nessuno è riuscito a narrare con una simile intensità e poesia la terra Afgana, il suo Popolo. Questo Autore ci ha regalato spiegazioni che sono come finestre al di là del tempo, aperte sullo spazio di una verità immensa che tutti i lettori possono stringere nel palmo della propria mano.

La cordialità di una farfalla, l'intensità di un temporale.

In questo romanzo, ritroviamo il meglio che il narratore ha da offrire e tutti i racconti sono legati fra loro dagli intrecci che la vita sembra tessere con la complicità del destino, in quel domino di eventi, dove ad ogni condizione segue un azione e ciascuna scelta impone delle conseguenze.

Ma queste storie sono anche un tributo alla singolarità, perchè non negando le conseguenze, rimandano alla centralità del libero arbitrio. Tale per cui ciascuno è artefice del proprio destino.



Le sue descrizioni sono spesso visionarie e romantiche.

L'Autore utilizza un esposizione neorealista, con fiera padronanza di utilizzare le metafore per dipingere i luoghi che diventano come fotografie per il lettore. Numerose sono anche le allegorie rituali per spiegare l'astratto con un armoniosa concezione umanista. Il tutto accompagnato da un manierismo favolistico che si sposa alla perfezione con la focalizzazione, da un punto di vista oggettivo, degli usi e costumi.

Il lettore può quindi calarsi nell'ambiente vivendone la routine grazie ad una narrazione che formalizza con semplicità discorsiva (diretta) la consuetudine della quotidianità.

Lo scrittore è un narratore cordiale che propone sempre una gentile esposizione di aneddoti, qualitativamente eleganti, dolci, armoniosi. Mai invasivi. Baciati da una possanza la cui intensità è travolgente. Una passione simile ad una freccia scoccata che corre veloce verso il bersaglio. Centrandolo, nel silenzioso frastuono che solo le parole sussurrate al cuore riescono a cogliere.

In tutte le storie troviamo dei luoghi comuni che ritornano e che rappresentano anche la concettualità innominata dell'Autore. Il suo intendimento. Le opinioni.

Non menziona mai la povertà, ma è del tutto evidente come quest'ultima venga posta al centro dell'attenzione. Il villaggio è la rappresentazione della realtà contadina: isolata fra le difficoltà di una vita di sacrifici, fatiche e rituali di sopportazione. Però è anche straordinariamente decorosa. C'è un impegno onorevole, fascinoso, in coloro che sfidano gli eventi sopportando un destino fatto di difficoltà.

E l'Autore omaggia questa volontà. La ammira nel suo intimo significato di convivenza e coraggio.

Mentre la pone in netta contrapposizione allo sfarzo della ricchezza lasciva, all'inutilità della superficialità con la quale il ricco non utilizza le proprie risorse se non per annoiarsi oppure osservare passivamente la realtà che scorre accanto a lui. Il suo ruolo è scandalosamente inutile perchè banalizza le circostanza e le opportunità.

La società contadina invece, è portatrice di valori che pur piegando l'uomo non lo spezzano e paradossalmente lo rendono più protagonista degli eventi di quanto non siano altri che mancano di volontà.

Poi c'è la colpevolezza del lassismo contemporaneo tipicamente riferibile a coloro i quali abbandonata la terra natia vi fanno ritorno da completi estranei. Le sofferenze del popolo le hanno lette sui giornali dell'occidente, le hanno viste nelle loro televisioni e ormai sono cambiati. Pur non avendo sottratto nulla al destino essi sono portatori sani di un antropologia culturale diversa e come tale inconciliabile con la realtà da cui provengono.

Il racconto di Roshi è quello che mi ha più coinvolto.

La storia dei due cugini, entrambi con una vita negli Stati Uniti che tornano a Kaboul per profittare di quello che il post bellico ha da offrire e riscattare le proprietà immobiliari, credo sia una veritiera ed intesa metafora di ciò che di più mostruoso ha da offrire l'occidente.

I due cugini sono metafore di quello che è l'opportunismo. L'uno lascivo, volontariamente plagiato ad un concetto di furbizia che manifesta in tutta la sua arroganza. Una sorta di self made man che in realtà è piccolissimo rispetto ad altri che pur non avendo la sua ricchezza materiale sono immensamente più grandi interiormente.

L'altro rappresenta l'ipocrita consapevole. Un fenomeno drammaticamente moderno nelle realtà c.d. civilizzate. Ritengo, anche la nostra. E' lui che si commuove di fronte ad una piccola vittima, che la accudisce con materno affetto fino ad illuderla, assumendo su di sè un ruolo formalizzato attraverso un impegno, una promessa. Sarà quindi costretto a capire che egli non possiede la volontà e le qualità per onorarla.

E' un fenomeno di quella che mi piace pensare sia la solidarietà utilitarista di colui che vuole semplicemente sentirsi buono. Una sorta di «paghetta» per la buonanotte della coscienza. Una volta assolta, pensa che basti un sorriso per poter tornare alla propria vita. Ai propri agi. A problemi la cui importanza non è nemmeno paragonabile a quella di altri.

Il benestante borghese.
Caricatura pagliaccesca.
Ipocrita. Che alla fine si ritrova ad affrontare la sua straordinaria piccolezza.
L'insignificanza. Al di là di tutti i suoi averi.
La sua cronica solitudine diventa una condanna. Un essere privo di alcuna utilità: vuoto, incompiuto. Uno spreco per se stesso e per il prossimo.
E questa consapevolezza lo ferisce, lo distrugge dentro, lo abbatte.

E infine, fra le tante storie, il romanzo si chiude con i due fratelli. Il loro ritrovarsi a distanza di tanto tempo. Dopo una vita fatta di eventi che proprio loro hanno in qualche modo ispirato. Ed è un elogio al riscatto dei valori incardinati nelle cose semplici, lo stesso gravoso fardello che Sabur sentì molti anni prima sulle sue spalle e che in parte lo spinse a separarli. Un riscatto che permette a ciascuno di vincere la rassegnazione, lo scoraggiamento.

Un grande insegnamento di vita.



Lo stile narrativo dell'Autore è semplice, pittoresco, di facile comprensione. Pur nella complessità dei contenuti espressi. E' un esposizione carica di magnetismo che attrae il lettore, volendo coinvolgerlo quale protagonista di una storia che diventa riflessione.

Affinchè, si possa sentire fortunato ad aver incontrato lo scrittore e altresì cambiato dal suo punto di vista che apre ad infiniti nuovi mondi.

Forte caratterizzazione emotiva dei personaggi, con focalizzazione soggettiva che spesso parte dagli ambienti per spostarsi alla natura del sentimento, indagandone le sue origini. Che sono anche la radice più profonda della volontà che le sorregge.

«E l'eco rispose» è l'ultimo capolavoro di Hosseini, un Autore che scrive pagine indimenticabili per intensità, stile, contenuti. I suoi scritti sono memorabili spaccati di una verità che vi farà sorridere, piangere, innamorare e rinascere.

Straordinario e immancabile, vero come le storie di vita che racconta.

Marco Solferini.
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