sabato 28 febbraio 2015

Cruel

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Cruel

Autore: Salvo Sottile.
Genere: thriller.

Cruel è una rivista di successo gestita dal noto psicologo romano Tiziano Costa.

Una redazione specializzata sui fatti di cronaca che impiega fra i suoi reporter d'assalto Mauro Colesani, un giovane «viveur» della capitale romana, appassionato di donne e videogame.

Passione quest'ultima che condivide con il commissario Sciuto chiamato a indagare su di un efferato omicidio.

Il cadavere di una giovane donna scomparsa viene ritrovato dissanguato e appeso a testa in già in un ospedale psichiatrico abbandonato sembrerebbe il risultato di un rituale ad opera di un antica setta compiuto con un arma particolarissima: un antico pugnale. Forse per mano del misterioso «Chierico».

L'omicidio non passa certo inosservato e occupa da subito le prime pagine dei giornali compreso Cruel dove l'abile e ambiziosa reporter Ester, ultima arrivata e allieva proprio di Mauro mette a segno uno scoop da prima pagina rivelando particolari talmente sconosciuti sull'omicidio che attirano l'attenzione proprio dell'assassino.

Sarà proprio Ester la prossima vittima? E chi si nasconde dietro l'enigmatico soprannome de il «Chierico»? Mauro e il commissario dovranno indagare, mettendosi persino l'uno contro l'altro per via del ruolo che ricoprono e della passione segreta che il giornalista ha provato per Ester alla qual era legato da più di un semplice rapporto professionale.

Udite! Udite! I fan dei fumetti e cultori dei film sui supereroi non mancheranno di rilevare l'errore (o meglio il refuso) di pag. 15. L'Autore infatti cita una scena tratta da «un» film di Superman con il generale Zod, ma non si tratta del primo (film) come erroneamente riportato, essendo infatti una scena di Superman II (sempre con l'attore Christopher Reeve) e non è neppure degli anni 70 come sempre erroneamente viene precisato nel romanzo bensì del 1980.. chiunque abbia fatto questa ricerca doveva essere più attento perchè i fan dei comics è noto che abbiano una memoria da elefante e gongolano sugli errori (imperdonabili).

Conclusa questa premessa doverosa (perchè io sono un appassionatissimo dei comics), avendo letto «Più scuro di mezzanotte» giudico Sottile un ottimo autore. Penso che questo suo thriller sia ben al di sotto del suo standard e pur avendo qualche luce evidenzia anche molte ombre.

La caratterizzazione emotiva dei personaggi è visivamente coinvolgente nel senso che stabilisce un contatto empatico con il lettore basato sull'archetipo caratteriale. Quella caratteristica cioè che più di tutte identifica e nel contempo distingue rispetto agli altri partecipanti alla comunione narrativa, le qualità del singolo. Quasi sempre co-protagonista.

«Non era uno stronzo, era solo uno che, giusto o sbagliato che fosse, in quello che faceva ci credeva. I sentimenti la mattina li lasciava fuori dalla questura, come un cappotto appeso su un attaccapanni per strada, e tornava a prenderli la sera, quando usciva dall'ufficio e aveva freddo». Tratto da «Cruel» di Salvo Sottile, ed. Mondadori.

Questi personaggi diventano quindi parte di un piccolo Pantheon nel quale vengono prima presentati o meglio esposti, recependo e raccontando la loro caratteristica di principale appartenenza.

Così facendo incontriamo l'enigmatico sapiente psicologo (con autocontrollo e capacità organizzative di gestione della personalità), il giovane geloso e avventato, il commissario dall'etica moralista con l'intuito dovuto all'esperienza e al buon senso, la giovane giornalista ambiziosa, arrivista, determinata e sessualmente disponibile..

Insomma, il Cluedo in stile Agatha Christie è questo.. in fondo non è sempre detto che sia stato il maggiordomo con il candelabro.

Tale impostazione non è certo un difetto tuttavia nell'incipit sarebbe stato meglio scriverci «sceneggiatura» e non romanzo.

Il protagonista è gestito tra limiti e genialità. I primi sono esaltati da una recidiva che lo rende accattivante per la carica di scapestrato anticonformismo. Un eroe alla giornata che si confronta con la volontà/dovere di sopravvivere alle disavventure più comuni e se stesso. La sua brillantezza scaturisce dall'audacia. Una dose cioè di volontà intuitiva che si mescola con la curiosità introspettiva tipica dell'indagatore - giornalista.

Non è male. Affatto. Sicuramente i lettori lo gradiranno. Però una siffatta impostazione apre una vera e propria parentesi temporale sul protagonista. La presentazione del quale esclude una sua evoluzione o trasmutazione. Il lettore percepisce che si sta giocando con le carte in tavola dal punto di vista della focalizzazione soggettiva.

«Chiacchierarono per qualche minuto, affacciati al davanzale sui tetti di Roma, sorseggiando un bicchiere di vino. La serata era perfetta, e la brezza leggera era il coronamento ideale alla beatitudine in cui Mauro si cullava». Tratto da «Cruel» di Salvo Sottile, ed. Mondadori.

E' abbastanza evidente fin dalle prime 50 pagine che sarà lui a indagare, successivamente e nelle ultime, sul misterioso assassino sfruttando alcuni aneddoti che vengono appositamente introdotti all'inizio della narrazione (che senso avrebbe piazzare il referente informatico se non salta fuori in un secondo momento?).

Per chi legge molti thriller tutto questo è pane quotidiano. Un pò come sapere che nei film horror è meglio non correre nel bosco o andarsi a ficcare in una casa buia (magari in cantina) se si è inseguiti da un tizio con la maschera da Halloween e un grosso coltello in mano..

Diversamente il thriller punta sul noto binomio assassino - mistero.

In questo momento storico per la letteratura contemporanea e fermo restando l'italico vuoto lasciato da Giorgio Faletti che certamente le case editrici vorrebbero occupare, bisogna però osservare che non sono pochi gli Autori su scala internazionale che propongono lo stesso format.

Che l'assassino sia meglio rimanga un mistero per il maggior numero di pagine è sempre un bene, ma c'è un limite alla devianza di pura invenzione o di estrapolazione giornalistica che si manifesta nel momento in cui l'opera nella sua interezza finisce per rassomigliare più ad un capitolo o un episodio della vita narrativa. Come tale diventa l'invenzione di un microcosmo dove ambientare il thriller (e magari anche altri). Il lettore finisce per domandarsi: «sto leggendo un romanzo dove tutto può accadere o è il primo di una serie?»

«Per un attimo, il bagliore delle candele che si consumavano sulla tavola aveva dato agli occhi del suo anfitrione un riflesso luciferiano, come se il riverbero delle fiammelle che ardeva dentro le sue pupille dovesse rivelarle una natura diversa da quella finora conosciuta. Metà uomo e metà demonio, una creatura del maligno». Tratto da «Cruel» di Salvo Sottile, ed. Mondadori.

Il problema, più commerciale in verità, è che ci sono tanti Autori di questo genere e altrettanti ne sono costantemente in arrivo.

Non ho rilevato, pur nella pregiata fattualità di quest'opera, un vero e proprio distinguo che mi permettesse di elevarla al di sopra di uno standard medio - basso.

Un limite è l'eccesso descrittivo.

Ci sono alcuni periodi che sembrano proprio tipici degli sceneggiatori che si prendono la briga di descrivere minuziosamente ogni movimento dei protagonisti di una scena (perchè gli attori devono sapere cosa fare) come pure la dinamica dell'ambientazione specificando «dove, come, quando» di ogni singola azione.

I dialoghi sono molto ricamati sulle ambientazioni e quindi sulle scene interne ed esterne. Seguono senza impostare essendo delle conseguenze di svolgimento. Il lettore li percepirà come realistici in quanto nella vita di tutti i giorni ci sembra che accada altrettanto.

«Vincenzo, è un onore essere ufficialmente sospettato da te» Esordì Mauro con una buona dose di amarezza che imbrattava, come un inchiostro versato su un foglio intonso, anni di amicizia». Tratto da «Cruel» di Salvo Sottile, ed. Mondadori.

Il lettore più esperto però rileverà che in alcuni casi sono leziosi e strumentali. Significa che i protagonisti non si stanno comportando come persone qualunque bensì raccontano al lettore come hanno scelto di comportarsi. E' diverso. Sottile (mi si passi il gioco di parole) ma diverso.

Perchè, a ben guardare c'è una lacuna nella naturalezza che cerca di spiegare il perchè mi sono comportato in questo modo oppure per qual ragione ho svolto certe considerazioni: lo scrittore sta parlando al lettore tramite i suoi personaggi. Invece di raccontare.

Un altro limite è la scarsa intuitività di questi personaggi.

Pur se di fantasia il protagonista di un romanzo «vive» quindi si presuppone che sia una persona a sua volta informata, uno che legge i giornali, romanzi, guarda telefilm e via discorrendo. Uno cioè che padroneggia quel compendio di sapere comune che appartiene un pò a tutti. Far cadere dall'alto certe scoperte o teoremi è poco credibile. Suvvia qualcuno avrà pur visto in vita sua un episodio di CSI o letto un romanzo di Conan Doyle.. è noto che siamo tutti un pò malati e un pò dottori.

«Una parte di lei fremeva di eccitazione, inutile nasconderselo. Per la prima volta un suo articolo sembrava capace di incidere sulla realtà, e nel modo più scioccante». Tratto da «Cruel» di Salvo Sottile, ed. Mondadori.

Registro poi la solita necessità di infilare nella storia un esperto informatico la cui utilità sta nel fatto che permette di utilizzare le tecnologie per arrivare ad una deduzione che sia anche svolta narrativa.

Premesso che gli hacker sono diventati, pur nelle loro multiformi manifestazioni, ospiti fissi di racconti, romanzi e sceneggiature la loro presenza non può e non deve essere un «escamotage» narrativo, artificiosamente infilato cioè per far tornare i conti. In questo caso invece ho avuto proprio la sensazione che fosse così. E mi piaciuto non poco, bensì pochissimo.

La descrizione dell'hacker poi è un cliché. Poche scialbe righe per dipingerlo come un troll delle caverne fossilizzato dentro una stanza (persino buia come se manco l'energia elettrica fosse consentita) piena di aggeggi informatici (che non si sa bene quali siano, ma la sensazione è che ci sia un clamoroso autogoal nel momento in cui se fossero dei server ci si porrebbe il quesito in effetti proprio del consumo di energia elettrica visto che l'hacker in questione pare vivere nel posto dove lavora.. le web farm casalinghe forse sono possibili negli States, ma Enel & Co. ne dubito..)

Poi ci sono delle superficialità abnormi che fanno orrore all'antropologia culturale che si occupa da tempo del fenomeno delle relazioni sociali su internet. Quando si scrive bisogna fare delle ricerche. Oggi gli hacker sono qualcosina in più di un nerd smanettone con la passione dei byte segregatosi in un antro informatico. Vi assicuro che vanno in giro alla luce del sole, con ambiti firmati, belle auto e spesso, quando lavorano nella new economy, anche belle donne al seguito.

Non ultimo poi ci sono possibili errori tecnici. Si parla di cyberspazio, poi di violazione di siti come l'anagrafe, ma attenzione, buona parte di queste cose se si fanno non è attraverso il web.. si tratta invece del «deep web».

I lettori che conoscono questa materia storceranno parecchie volte il naso. Ripeto: si scrive solo dopo aver fatto minuziose ricerche. Approfondire, approfondire e approfondire. Il lettore lo merita perchè leggendo vorrebbe imparare qualcosa.

Punto forte sono il ritmo narrativo e la scioltezza. Incalzante il primo, senza sofisticazioni la seconda. Si va diritti al cuore del problema: coinvolgere il lettore. Incanalarlo nel dettaglio espositivo facendolo sentire partecipe. Tutto molto ben riuscito.

Purtroppo il finale è disarmante.

Premesso che infilare un ospedale psichiatrico e una figura enigmatica che guarda caso è proprio uno psichiatra in un romanzo di poco più di 200 pagine è controproducente. E qualunque segreteria letteraria dovrebbe saperlo perchè i lettori fanno due più due.

La narrazione è disseminata di possibili incongruenze, la cui spiegazione arriva alla spicciolata dopo. Sopratutto nei dialoghi a mò di riassunto e resoconto dei protagonisti che hanno più lo scopo di far quadrare i conti evitando che il lettore presupponga delle lacune nella narrazione.

Lo scrittore in realtà da una spiegazione a questa impostazione nei ringraziamenti (che curiosamente sono anche in gran parte riprodotti in seconda di copertina). Il tentativo di destrutturare la deduzione logica con un esposizione che parta dall'interno. Sottile ammette che questo «esperimento» è nato dalla sua esperienza televisiva nel settore della cronaca. E a ben guardare l'idea è interessante. La giudico però sviluppata malissimo e in modo tremendamente lacunoso.. potrei citare decine di Autori che riescono in questo campo, tra cui Jean-Christophe Grangé o Brian Freeman, Liza Marklund o Colin Dexter. Non c'è un solo motivo per cui dovrei preferirgli questo romanzo.

In chiusura penso sia necessaria una riflessione.

Molti giovani Autori lamentano il fatto che in Italia si dia spazio quasi esclusivamente a personaggi già noti dello spettacolo, cinema, teatro, persino dell'editoria stessa presi tra giornalisti e scrittori di rubriche sui periodici. Questo è sicuramente vero. Le case editrici cercano un plafond di possibili lettori che gradiscano l'Autore prima ancora della storia che propone.

E' uno sbaglio e lo pagano entrambe le parti. Da un lato l'evidente andamento delle vendite nel mercato dell'editoria. Dall'altro la critica sugli Autori che alla lunga ne ridurrà l'impatto sul pubblico dequalificandoli.

Salvo Sottile però è un validissimo scrittore e penso che soffra un pò di questa derivazione in quanto ritengo che sarebbe emerso nella carta stampata anche se non fosse un volto noto. Per questa ragione dovrebbe muoversi come uno scrittore di talento che vuole raggiungere il suo apice. Che vuole scrivere. Perchè ha le caratteristiche per farlo.

Quest'Autore rappresenta, al di là del romanzo in commento, la dimostrazione che la qualità c'è, accanto alla notorietà.

«Cruel» è un thriller mediocre con un ambientazione realista e personaggi con luci e ombre. Un indagine ricca di possibili sviluppi che si snoda su più fronti. Alcuni dei quali potrebbero affascinare i cultori del genere.

Consigliato ai lettori di thriller non troppo esigenti.

Marco Solferini
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sabato 21 febbraio 2015

Le mamme ce la fanno

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Le mamme ce la fanno

Autrice: Elisabetta Gualmini.
Genere: umoristico, attualità.

Siete pronti per scoprire cosa significa essere una mamma multitasking con due bambini piccoli (un maschio e una femmina) che ti proiettano, volente o nolente, nel mondo delle scuole elementari, delle feste, dell'attività sportiva, degli altri genitori (che non ti puoi scegliere), dei compagni di classe, delle vacanze e, più semplicemente, che mettono a dura prova tutto il tuo mondo 24 ore su 24, 365 giorni all'anno?

Questa è l'ambientazione del romanzo che narra di una serie di circostanze agrodolci in cui la mamma si rapporta non solo con i figli e le loro apparentemente infinite esigenze, ma sopratutto con quella loro unica e sconfinata concezione del mondo tipicamente preadolescenziale che sarebbe in grado di sconfiggere persino Sauron l'oscuro signore in persona.

«Io e la mia cricca di mamme arriviamo al Natale sfiancate. Massacrate da mesi di multitasking (casa-cibo-lavoro-compiti-sport), ci aspetta la mazzata finale». Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

«Spiderjack» e «Spiga di grano» sono i dolcissimi soprannomi dei figli che rappresentano l'ultima frontiera, il nuovo mondo, il creato oltre le Colonne d'Ercole. Un luogo dove le mamme combattono su più fronti e senza tregua.

In questo risiko senza fine ci sono creature mitologiche come le «Barbiemamme» (troppo belle per essere vere) o la leggendaria coda delle giostre (il cui acchiappo è come la ricerca del Santo Graal).

«C'era un ospite vegetariano. Avrei cucinato un polpettone alle verdure. Mi sembrava di averlo intravisto in qualche negozio, di un bel colore verde petrolio, che mi era rimasto impresso. Io vado più per immagini che per sapori o sostanza. Se mi fisso su un colore, mi convinco che ci sia un buon motivo dietro e vado avanti come un caterpillar». Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

Mi sono davvero goduto i tanti divertentissimi aneddoti che in parte mi hanno riportato all'eterno limbo dell'infanzia. Quella che non si può mai dimenticare per davvero.

Le risate che ha saputo provocarmi questo scritto le paragonerei ad un ottimo vino rosso la cui inebriante qualità di ammaliarmi ha saputo conquistarmi attraverso il sorriso.

Un umorismo goliardico, ma non irriverente. Arricchito da una sana e intelligente ilarità. E' coinvolgente e penetra nel profondo come si suol dire dalla prima all'ultima pagina.

«Iscritto mio figlio ad acquaticità. Era in ritardo di oltre un anno rispetto alla sorella, quindi mi erano già venuti i sensi dei colpa stratosferici. Il corso dura 25 minuti più 30 minuti per portarlo più quaranta minuti per asciugarlo, phonarlo, ricoprirlo dei 10-15 strati adatti al clima invernale e alla fine riportarlo a casa» Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

Capitoli brevi e paratattici.

Una raffica di umorismo da circostanza con paragoni metaforici e allegorie di stretta attualità che non rinunciano, spesso, a una lacrima di riflessione dopo una divertente esposizione.

«Mi davano fastidio le discussioni infinite dei genitori head-hunter sul reclutamento degli animatori. C'era chi voleva il professionista che fa fare tante cose e porta anche i gonfiabili (in casa?), chi voleva il clown (cioè un cinquantenne dipendente pubblico che arrotonda) anche se un pò mi intristisce, ma fa lo stesso perchè costa meno..» Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

Sale sul banco degli imputati il microcosmo delle mamme costrette a dei super straordinari per riuscire a fare tutto, ma proprio tutto, e quando intendo tutto spero di essere stato sufficientemente omnicomprensivo (persino più di una fideiussione).

Perchè la mamma multitasking dell'Autrice è in corsa persino con il pensiero. Il proprio. E affronta le difficoltà con l'audacia di un navy seals, il coraggio e la resistenza di Rocky. Altro che «Fast & furious», persino gli «Avengers» potrebbero arruolarla nelle proprie fila. Ma attenzione, perchè il suo stile denota anche il «savour faire» di un audace ballerino di tango quando alla possanza alterna la grazia.

«Le sue mani mi ammorbidiscono il cervello e, nel silenzio della sera, bloccano come per incanto il flusso delle idee e dei pensieri. Sono un segno che per oggi basta». Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

Questa mamma diventa una piccola nave «Enterprise» per arrivare là dove nessun uomo (donna) è mai giunto prima.

Una spassosa ilarità basata sulle situazioni più comuni che non risparmiano sferzate in agrodolce quando l'Autrice critica l'ampolloso gusto per l'apparenza di cui il panorama contemporaneo sembra essere drammaticamente affetto. Una pandemia, quella del voler «sembrare» che ha da tempo contagiato ogni ambiente e si è camaleonticamente riprodotta, similarmente a una cellula tumorale, nel dna dei rapporti umani.

L'efficacia espositiva della Gualmini mi ha colpito in positivo perchè denota bravura narrativa nell'utilizzare sapientemente il realismo. E infatti, non ha mai bisogno di ricorrere ai rafforzativi e non cade nel tranello della ripetizione. Ogni capitolo è innovativo seppur legato da un «train d'union»: il libero arbitrio del pensiero vince sul conformismo.

Da Orwell ad «Another brick in the wall» questo angolo di paradiso che la mente ci offre gratuitamente permette a noi tutti di non rinunciare a ciò che paradossalmente, pur rendendoci simili, ci distingue gli uni dagli altri: la nostra originalità.

«E io allora mi lascio cullare dall'idea di avere questo robottino animato che gira per casa e butta fuori i tramezzini col nylon... O la merenda dei bambini già insacchettata e con il nome scritto in grande in evidenza». Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

I capitoli, ben organizzati, denotano una focalizzazione oggettiva ottimamente compiuta attraverso una forte carica di concettualità che sposta la paratattica espositiva (quasi sempre introduttiva) ad una maggior confidenza con il lettore basata su di una buona empatia che ingenera dei «transfer». E questo consente di scoperchiare le irritualità di quel crogiolo di quotidianità che sembrano essere gli irrinunciabili sotto insiemi della moderna società.

L'Autrice propone un alternanza tra accettazione e ribellione senza rinunciare al proprio Io; in pratica è come se salisse sopra un banco e, in un attimo fuggente, declamasse: «chi sono e cosa faccio sono affari miei, ma il come ve lo racconto».

Traspare una forza d'animo notevolissima.

Abbia il lettore contezza che questa gradevolissima commedia lo farà si ridere, ma nel contempo la narrazione del «tour de force» della mamma non la svilisce mai. Per capirci, non c'è nulla di fantozziano. La protagonista non si autocommisera e non si prende in giro. Ho apprezzato questa scelta perchè significa che si rivolge a un pubblico di bocca buona.

«In casa nostra tutto è wireless da molto tempo. Ovunque siamo wireless. Siamo collegati ventiquattr'ore su ventiquattro: dal garage, dalla terrazza, dal cortile, dallo studio, dal bagno. Ci vantiamo di lasciare il nostro wi-fi senza password, a beneficio dell'intero condominio, e siamo orgogliosi delle nostre postazioni di lavoro in casa con moltissimi pc, tablet, stampanti e qualsiasi altro aggeggio. Più che un appartamento sembra un internet cafè». Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

Quello che stringerete fra le mani (e io vi consiglio di farlo) non è un prodotto stile cinepanettone dove per farsi sentire è necessario inseguire degli eccessi, bensì una brillante commedia alla Woody Allen con un umorismo prima di tutto intelligente.

«La competizione tra madri sulle ricerche è altissima e quando io e la mia gang di mamme riceviamo un voto inferiore all'eccellenza ci rimaniamo molto male e cerchiamo di capire cosa cavolo abbiamo sbagliato». Tratto da «Le mamme ce la fanno» di Elisabetta Gualmini, ed. Mondadori Strade Blù.

Quando si parla di comicità credo sia opportuno cercare di descriverla. A beneficio del lettore che voglia approfondire questo genere, ma nel contempo anche per rifuggire certe spiegazioni insipide e meramente giornalistiche cui a volte i «critici» si abbandonano.

Nello stile di scrittura della Gualmini ho rilevato un distinguo. Da un lato l'umorismo (di cui ho fatto accenno durante la recensione) e che si divide in due sottofiloni, quello caricaturale e quello del contrario (usualmente definito Pirandelliano). Poi ho rilevato la comicità, quest'ultima a sua volta si esprime su due fronti: le situazioni e le sopportazioni. Mentre la prima porta alla constatazione delle incongruenze le seconde trasmettono l'umana partecipazione al meccanismo farsesco attraverso pregiati quanto affettuosi (con il lettore, meno per i destinatari) ossimori. A margine di ciò, che ritengo rappresenti la sua cifra narrativa nei termini del genere umoristico ho altresì preso atto di un rifiuto per il grottesco e il bizzarro (frutto e conseguenza forse di un aspetto sociologico e culturale).

Alla luce di quanto esposto non mi meraviglia che Strade Blu di Mondadori abbia dato giustamente spazio a quest'Autrice. Una collana di prestigio che ha evidentemente centrato le qualità della scrittrice che penso abbiano margini significativi per un ulteriore miglioramento.

«Le mamme ce la fanno» è una straordinaria commedia in agrodolce che propone una serie di spassosi episodi nella vita di una mamma multitasking. Un romanzo umoristico e intelligente che riesce, con spiccata genialità, a proporre temi che non si limitano a divertire il lettore, facendolo anche riflettere su cosa significa essere genitori oggi.

Decisamente brillante e consigliato a tutti.

Marco Solferini
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mercoledì 11 febbraio 2015

Magisterium

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Magisterium

- L'anno di ferro -

Autori: Holly Black - Cassandra Clare.
Genere: fantastico, fantasy, young adult.

Siete pronti per il Magisterium?

La scuola di magia per i giovanissimi maghi che controllano i 4 elementi fondamentali (acqua, terra, fuoco, aria) sta per effettuare le selezioni.

Per decidere quali saranno i nuovi apprendisti del corpo docenti per 5 lunghi anni durante i quali ai giovani, ciascuno scelto da un Magister, verrà insegnato a controllare l'immenso potere derivante dalla magia.

Callum Hunt però, a differenza degli altri aspiranti, farebbe qualunque cosa pur di non essere preso. Il passato della sua famiglia sembra infatti tragicamente legato proprio alla magia e al Magisterium

Suo padre e sua madre hanno frequentato la scuola per maghi molti anni prima e hanno preso parte all'ultima guerra di magia.

Un conflitto spietato contro il Nemico della morte, un mago deciso a soverchiare l'ordine delle cose attraverso la magia del caos.

Durante quella guerra la madre di Callum rimase uccisa e dopo la sua morte il padre ha rinnegato il suo passato e più in generale il volere dei maghi e le loro regole.

Per questo motivo ha messo in guardia suo figlio a proposito della loro natura subdola e ingannatrice.

Quindi Call intende partecipare alle prove che determineranno se un giovane può o meno essere avviato all'apprendimento delle arti magiche al solo scopo di fallire. Un risultato che non dovrebbe essere così difficile visto che fin dalla nascita è portatore di un handicap alla gamba che gli rende difficile anche i movimenti più semplici.

Con immensa sorpresa però, malgrado il suo impegno al contrario, il più celebre Magister della scuola decide di scegliere proprio lui, unitamente ad altri due giovani, come suoi apprendisti.

Comincia quindi un viaggio controvoglia per raggiungere la scuola di magia e qui scoprire nell'anno di ferro, il primo dei cinque che lo attendono, le proprie potenzialità.

Mentre i rapporti con gli altri giovani frequentatori del corso si fanno a tratti difficili e a volte misteriosi Call comincerà a scoprire una verità diversa da quella che il padre gli ha raccontato, per sè stesso e per la propria famiglia.

Il tutto, mentre la sottile e invasiva ombra del male si fa lentamente strada. Interrogativi aleggiano sul futuro sempre più incerto, su chi fosse realmente il Nemico della morte e quale misterioso significato aveva la frase «uccidete il bambino" trovata nello stesso luogo dove fu compiuto il massacro nel quale perse la vita anche la madre di Callum. Tutto ciò è forse il preludio a una nuova guerra contro un nemico mai veramente sconfitto?

Da Harry Potter in avanti è difficilissimo prendere in mano un libro fantasy che abbia come protagonista un giovane aspirante mago e non provare un senso quantomeno di emulazione.

Se poi di mezzo c'è una scuola di magia, le cose si complicano ancora di più.

La sensazione, scorrendo le pagine è che, a parte delle varianti, il paradigma narrativo del romanzo per un buon 75% sia più o meno facilmente intuibile.

«Lentamente Call si alzò a fronteggiare l'uomo con la maschera d'argento dall'altra parte della sala. Tremava tutto per il dolore alle gambe e per la tensione, per la paura, per l'adrenalina che gli scorreva nelle vene e per il confuso desiderio di scappare via. Il Nemico aveva un espressione furente, gli occhi lampeggiavano di rabbia e dolore». Tratto da «Magisterium» di Holly Black e Cassandra Clare, ed. Mondadori.

Quel che rimane è una limitata degustazione di sapori più che nuovi, inconsueti.

E' giusto a tal proposito osservare che qualora infatti il tasso di innovazione difetti non è detto che la materia in sè (chiamiamolo «genere letterario») non risulti ugualmente appassionante e affascinante.

Del resto Harry Potter è stato un fenomeno che ha lasciato il segno anche (per alcuni sopratutto) dal punto di vista squisitamente capitalistico. Raramente era accaduto che un personaggio garantisse un simile ritorno in termini economici in così poco tempo. Cifre da capogiro che si comprende ingolosiscono le case editrici (e gli autori) desiderose di colmare quello che molti definiscono un vuoto editoriale.

Ma è proprio così?

A mio parere Harry Potter è vivo e vegeto e il presunto vuoto esiste solo nelle logiche di marketing, ma non per i lettori. Fatto che ha già riservato sorrisi amari a numerose prestigiose penne della letteratura contemporanea (si pensi all'opera fantasy di James Patterson che perlomeno in Italia ha trovato pochissimo spazio e non è mai decollata).

Andrebbe a questo punto precisato che sotto il minimo comune denominatore del genere fantastico-fantasy si identifica oggi lo stile letterario «young adult». Diventato il prototipo quasi oracolare di tutta la produzione del genere.

Uno stile espositivo che identifica quella cifra letteraria i cui contenuti sono destinati ad un pubblico di uomini più maturi del bambino ancora destinatario di elementi favolistici, ma tuttavia legati a quella fantasia adolescenziale che fa da cornice alle convinzioni dell'adulto.

La presenza di concetti quali la morte, l'afflizione, il patimento e il pericolo rappresentano un corollario della narrazione «young adult», come pure l'estemporaneità fantastica.

Quest'ultima è uno scenario metafisico principalmente basato sul surrealismo che acquista spessore e come tale diventa plausibile nel microcosmo della narrazione quale conseguenza della delineazione di margini entro i quali la gestione della storia diventa sostanzialmente il mondo fantastico.

Una sovrapposizione oltre la quale si sviluppa il carattere del protagonista. In quella che è un osmosi tale per cui la realtà fantastica (una specie di Matrix) esiste solo perchè c'è il protagonista.

Motivo per cui il rapporto empatico che si sviluppa con il lettore è fortissimo e crea un affezione enorme, quasi mitica, oserei aggiungere di tal passione da diventare simile a una religione contemporanea che si radica cioè nel profondo.

Nella letteratura «young adult" l'evoluzione del protagonista è quasi sempre legata ad alcuni fattori ciclici, fra cui: la scoperta che porta alla consapevolezza; la sfida quale confronto con le probabilità avverse e la rinascita attraverso il dolore (spesso determinato dalla perdita).

Si comprende quindi come dietro un tema apparentemente semplice ci sia una produzione tra le più difficili da concepire.

L'errore di moltissimi Autori è quello di basare su un idea sviluppata in verticale, una narrazione orizzontale suddivisa per tempistiche. Quel che si ottiene è solo un archetipo della storia incasellata in tanti sotto insiemi.

I risultati sono frequentemente davvero scadenti. E molti Autori dovrebbero vergognarsi con se stessi per aver pensato di poter produrre un opera di questo spessore per il pubblico senza essere sufficientemente preparati.

Ben inteso, sottolineo il termine «preparazione» perchè la letteratura «young adult» non ha a che vedere con le capacità o l'innata dote letteraria dal punto di vista artistico.

In effetti, con un percorso lungo e faticoso è possibile investire su Autori per farli diventare abili al genere «young adult». Purtroppo le case editrici non hanno ancora capito questo passaggio e rinunciano proprio a quello che stanno cercando, perchè non investono nella formazione.

Alcune agenzie letterarie si segnalano per aver iniziato questo percorso, in particolare attraverso corsi di formazione nella scrittura creativa per Autori. Prevalentemente in Inghilterra, ahimè in Italia c'è un arretratezza disarmante malgrado la presenza di alcuni «big player» dell'editoria.

Per quanto riguardo «Magisterium" le due autrici, già molto note al grande pubblico, sembrano voler confezionare un prodotto di media durata, incentrato sugli anni che il protagonista (dal nome molto cinematografico - fumettistico: Callum Hunt) trascorrerà nel «Magisterium». Scuola di magia eccheggiante di riferimenti ai vecchi insegnamenti del medioevo relativi alle arti mediche, alla scienza, ma sopratutto all'alchimia (forse non a caso c'è una citazione a Paracelso).

«Poi entrarono in una caverna che aveva cinque porte nella parete di fondo: non era difficile riconoscere che la prima era di ferro, la seconda di rame, la terza di bronzo, la quarta d'argento e l'ultima di fulgido oro. Tutte le porte riflettevano il fuoco nella mano del Magister e le fiamme danzavano spettrali sulle superfici levigate a specchio». Tratto da «Magisterium» di Holly Black e Cassandra Clare, ed. Mondadori.

Non mi meraviglierebbe se nel proseguo assistessimo alla malcelata presenza di elementi di sciamanesimo post moderno in quanto il ruolo della «natura» mi è sembrato uno degli argomenti che, col freno a mano tirato, sarebbero stati ripresi successivamente.

Purtroppo, nel complesso, ci sono davvero troppi punti di contatto con la saga della J.K. Rowling.

Anche se in aggiunta ci sono altresì numerosi elementi più tipici di altre produzioni come pure di diversi supporti, per esempio degli RPG (Role Playing Game) e di alcuni giochi di carte fantasy (come Magic: The Gathering).

La narrazione è ben sviluppata, ma ritengo sia inopportuno dettagliare più di tanto i contenuti in quanto penso che un pubblico nuovo a questo genere si debba leggere prima di tutto Harry Potter e per chi invece lo ha già fatto la lettura di questo romanzo potrebbe far storcere fin troppo spesso il naso.

Ben inteso, non c'è nulla di copiato in giro (nessun plagio) e del resto è stato correttamente osservato che oggi è difficile scrivere di questo genere senza ricalcare anche solo a mò di richiamo opere conosciute di altri Autori.

Ciò posto, sorvolando quindi sui contenuti della storia in sè affinchè siano i lettori a giudicare, il protagonista mi è piaciuto poco.

E' una via di mezzo tra un Peter Parker e un genio ribelle. La sua esistenza è condizionata dalla grave defezione fisica e questo si può comprendere assorba buona parte dei suoi ragionamenti, ma confinare tutto lo spettro conoscitivo del soggetto su questa focalizzazione è quantomeno eccessivo o meglio limitativo.

Il rapporto con la figura paterna poi è sostanzialmente incentrato sul suo essere succube di una verità che gli è stata raccontata e come tale per derivazione egli ha accettato.

Un ingenuità che gli adolescenti spesso non hanno. Si confonde la mancanza di esperienza con la scarsa intraprendenza. Il risultato è un protagonista avente poco spessore emotivo.

Dimostrato all'ennesima potenza nel finale quando, in 50 pagine circa gli succede un pò di tutto e lui dimostra di non avere alcun carattere nemmeno mediamente formato. Cambia continuamente idea, arriva ad accettare situazioni oggettivamente poco plausibili e francamente anche irrealistiche rispetto alla narrazione utili solo nell'ottica del telegrafato «gran finale».

Quali sono quindi le caratteristiche di Callum per le quali dovrebbe appassionare, coinvolgere e che lo porteranno a sintetizzare quell'eroe di cui la storia ha immensamente bisogno? Io non le ho rilevate.

Tutti gli altri giovani frequentanti il Magisterium sono la sintesi di qualità caratteriali.

In pratica personaggi di contorno cui affidare determinate situazioni molto intuibili. Il simpatico, l'introverso, il vendicativo, la spocchiosa ecc. ecc. A ciascuno in media le sue 15-20 pagine di protagonismo con il personaggio principale.

Abbiate pietà della mia fantasia se mi rifiuto di accettare che si possa contestualizzare una scuola di magia come se fosse una classe delle elementari.

Anche perchè alcuni comportamenti sono decisamente infantili. Troppo per i bambini moderni, sembrano più quelli degli anni 70. Oggi, sanno essere più aggressivi persino i bambini e anche molto più camaleontici, macchinosi e a tratti persino adulti.

Le Autrici però lo sanno, o perlomeno dimostrano di saperlo. Infatti, se per duecento e poco più pagine questi ragazzini sono caratterialmente debolucci (delle macchiette da circostanza) ecco che nel gran finale alcuni di loro scoprono le carte e diventano quindi degli adulti adolescenti assumendo posizioni rivelatrici di un gran senso di responsabilità.

«Non m'importa niente delle regole o delle apparenze. Non voglio essere la persona che fa le cose e basta. Voglio fare la cosa giusta. E non m'importa se dobbiamo mentire, imbrogliare, prendere scorciatoie o infrangere le regole per riuscirci». Tratto da «Magisterium» di Holly Black e Cassandra Clare, ed. Mondadori.

Questo è un errore espositivo su cui non si può soprassedere. Il lettore ha diritto a non essere ingannato.

Il tasso di spettacolarità è eccellente.

La magia nella storia letteraria è stata concepita in moltissimi modi. Qui trova meno spazio la c.d. ritualistica e maggiormente quella manifestazione del magico che mi piace pensare sia espansione.

«Call si voltò a guardare il punto in cui si trovavano i lupi prima che Aaron li spedisse nel vuoto, ma le sole tracce rimaste erano le impronte delle grosse zampe sulla neve. Le orme emanavano ancora una debole luce, come se ciascuna fosse stata fatta con il fuoco e ne trattenesse ancora un poco dentro». Tratto da «Magisterium» di Holly Black e Cassandra Clare, ed. Mondadori.

Se infatti volessimo creare un contesto dualista definisco come «contrazione» un ambito letterario dove la magia è un tutto e la cui percezione si sviluppa per deduzione e intuizione. La manifestazione magica è cioè l'ultimo stadio di una verità già acquisita e meno apparente.

Viceversa (com'è in questo caso) definisco «espansione» un ambito in cui la magia è già presente in termini naturalisti e ci porta a percepirla nella sua fisicità, quasi spudorata, esteriore con la quale si prende una dimestichezza a mò di convivenza. La manifestazione esteriore diventa più simile ad un superpotere stile Marvel o DC Comics.

Logica conseguenza di questa scelta sono quasi sempre la teatralità e l'inganno. La prima infatti diventa l'insieme di effetti speciali cui l'Autore demanda la spettacolarità della sua volontà narrativa attraverso gli aspetti visivi, mentre nella seconda si riassume la necessità di mettere un freno alle infinite possibilità che l'eccesso magico corre il rischio di creare.

Se infatti la magia diventa uno strumento troppo possibilista con il quale si può ottenere tutto o ridefinire il tutto, la narrazione perde di credibilità. Diventa cioè qualcosa di imprescindibile che può mutare da un momento all'altro, privando il lettore di quella solidità sulla quale basare il percorso conoscitivo (particolarmente utile poi se si vogliono proporre una saga strutturata in diversi libri).

«Magisterium» è romanzo fantasy che si iscrive a pieno titolo nel filone «young adult». Ben scritto, organizzato con metodo diligente tanto dal punto di vista espositivo quanto narrativo con ottimi e credibili dialoghi abilmente contestualizzati. Tuttavia corre il rischio di interessare (non so quanto appassionare) più i nuovi lettori piuttosto che coloro che già amano questo genere per i quali ci sono prima altre letture nelle quali immergersi.

Consigliato solo a chi legge tutto ciò che riguarda il fantasy o che ama moltissimo l'argomento scuola di maghi..

Marco Solferini
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