domenica 26 gennaio 2014

Il Mondo di ieri: ricordi di un europeo.

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Il mondo di ieri

Ricordi di un Europeo

Autore: Stefan Zweig.
Genere: biografico, storico.

«Ricordi di un Europeo» è il racconto di una vita.

L'Autore si narra fin dalla primissima adolescenza. In quel dell'opulenta Vienna di fine 1800. Un luogo magico. Incantato. Dove la bellezza per l'arte e la cultura sembrava aver messo profonde radici nella consapevolezza della gente.

Il giovane apprende i rudimenti della sua personale formazione che diventerà passione pura e senza freni per la cultura letteraria.

Il suo straordinario genio di romanziere lo porterà poi ad essere uno dei più famosi scrittori del 900, fino all'avvento del nazismo.

La sua opera si scopre proprio in quegli occhi di ragazzo.

Tra i banchi di una scuola che l'Autore critica e non poco, innalzandosi poi al di sopra della meraviglia dell'animo umano tra il teatro e nelle righe dei Grandi scrittori, come Tolstoj (assolutamente meravigliosa la descrizione che Zweig offre della tomba di quest'uomo immenso della letteratura quando lui, non più giovane, la visita in Russia) e Goethe le cui citazioni sembrano ispirare il senso comune con il quale questo narratore d'eccezione cerca di apostrofare la morale del Popolo.

Tutto questo accanto al fascino dei compositori, pittori, architetti, teologi, filosofi e sociologi. Un fiume in piena i cui argini traboccano di un desiderio di conoscenza introspettiva e di condivisione. Un desiderio di amore per la vita e per l'uomo quale epicentro di infinite meraviglie.

L'Autore ci propone la sua storia attraverso episodi e l'amicizia con tante persone che ha incontrato e apprezzato. Unitamente alla passione con cui egli ha per esempio coltivato la sua personale collezione di autografi, da bambino, da adulto, dovendo poi lasciarla, donandola ad un museo austriaco quando ormai il suo destino in quanto ebreo era segnato dall'esilio.

L'800 lascia presto il posto al 900 e con esso arrivano i grandi cambiamenti.

«il fatto che si stesse preparando qualcosa di assolutamente nuovo nell'arte, qualcosa di più impetuoso, di più problematico, di più audace di ciò che aveva soddisfatto i nostri genitori e il mondo che ci circondava, fu il vero, straordinario evento della nostra giovinezza. Affascinati da quest'unico aspetto della nostra esistenza non ci accorgevamo tuttavia che quei mutamenti in campo estetico erano soltanto i precursori di trasformazioni di ben più ampio raggio, che avrebbero attraversato come una scossa di terremoto il mondo dei nostri padri fino a distruggerlo (S. Zweig: “Il Mondo di ieri”)»

Serpeggia la politica, nell'ombra, in quel di Vienna e dell'Austria. L'avvento del partito socialista dei lavoratori in contrapposizione con quello della medio borghesia cristiano nazionalista. Fino al sopraggiungere del nazionalismo vero e proprio con i primi abominevoli accenni alla purezza della razza.

L'Autore osserva questi cambiamenti in prima fila pur se da spettatore, perchè dopo la laurea comincia a scrivere, dapprima come corrispondente per la stampa, poi come scrittore. E a viaggiare: Berlino, Parigi, l'Italia e l'Inghilterra, la Russia e sempre la «sua» Austria.

«tanto più amo una persona, difatti, quanto più ho rispetto del suo tempo (S. Zweig: “Il Mondo di ieri”)»

Fino al primo grande scossone che frantuma le fondamenta del Mondo: la prima guerra mondiale. Esplode con furia l'atroce conflitto che scoperchia la rabbia e l'odio quali nascosti e subdoli avversari all'apparente bellezza di quel progresso non più libero, bensì imprigionato nell'arte come nella scienza.

Quel che ne segue è la ricostruzione sulle macerie.

Ma anche il dramma atroce dell'inflazione, flagello che si abbatte prima sull'Austria e poi sulla Germania. Piegata, umiliata, afflitta da una morsa di debiti che stravolgono il Popolo tedesco e trasformano le città in veri e propri gironi infernali. Il terreno fertile di sette segrete all'interno delle quali confluiscono i militari della prima guerra mondiale desiderosi di rivincita.

Il terreno fertile per Adolf Hitler e la sua politica dell'odio razziale. Ed è così che comincia, davanti agli occhi di tutti, l'inverno del Mondo.

L'Autore, nella prima parte del romanzo ci spiega il vero significato del concetto ebraico di «buona Famiglia» che non annida nel potere o nel denaro, come le menti impreparate di alcuni distratti ancora oggi cercando di propinare, bensì nel sapersi elevare ad un integrazione consapevole e rispettosa tra Popoli. Attraverso la sublime arte dell'intelletto. L'Autore ci narra impietosamente di come tutto questo è diventato distorto in quegli anni bui, all'ombra del sonno della ragione.

Tutto cambia. I suoi libri dapprima a migliaia in ogni dove, divengono oggetti proibiti e blasfemi. Destinati al rogo.

Nell'inconsapevolezza e nell'incredulità figlia della negazione di qualcosa percepito come impossibile, comincia la fine di tutto. E quell'efficienza metodica della Germania che da giovane aveva impressionato l'Autore ben presto sarebbe diventata lo strumento per la più monumentale macchina di morte: lo sterminio.

Il 27 Gennaio il Mondo celebra la giornata della memoria.

Simbolicamente questa data è stata scelta perchè nel 1945 fu il giorno in cui l'armata rossa entrò nel campo di concentramento di Auschwitz. Il Mondo diventava quindi testimone della «Shoah». Buona parte delle parole fino ad oggi spese non riescono a descrivere l'incredibile follia determinista dell'odio con il quale si è dato libero sfogo al desiderio di annientare un intera razza.

Nelle pagine di questo romanzo il lettore conoscerà anzitutto l'Autore.

Che nel disegno del Nazismo era il nemico. La causa di ogni male. Il lettore capirà quindi che quest'uomo, carico d'amore e affascinato da concetti quali l'amicizia, l'arte, la cultura e la letteratura è diventato, insieme con milioni di altri, il capro espiatorio di una volontà omicida senza precedenti.

Nel Mondo di oggi il ricordo di quello di ieri è sempre più distorto.

«ma dovevano passare diversi anni prima che capissi anch'io che le prove scuotono, le persecuzioni fortificano e la solitudine rende più saldi, se non riesce a spezzarti l'anima. Come tutte le cose importanti della vita una simile saggezza non si ricava mai dalle esperienze altrui, ma sempre e solo dal proprio destino (S. Zweig: “Il Mondo di ieri”)».

L'eredità di Zweig ci dice che non bisogna mai sottovalutare la natura subdola dell'odio che si nutre della linfa vitale di quanti lo ignorano, sottovalutano, sminuiscono. Come pure non si deve mai dimenticare la sua avida volontà di prendersi tutto, impadronendosi della persona trasformandola grazie alla sua natura mortalmente deviata.

Il rogo dei libri fu il simbolico atto di pazzia autoreferenziale con il quale un sistema corrotto cercò di sviluppare, attraverso la negazione, una riscrittura della storia. Il proibizionismo inquisitorio delle informazioni. Controllate e indirizzate.

Oggi viviamo l'epoca della comunicazione globalizzata di massa. Ma stiamo assistendo ad una variabile di questa negazione. Se in passato si voleva distruggere l'informazione per evitarne la divulgazione, oggi si vuole, attraverso un eccesso, diluirla. Dove c'è «tanto» si fa fatica a prestare attenzione al «poco».

E nel frattempo si alimenta la sfiducia. Il sentimento comune che nulla meraviglia più, che tanto va tutto male. Che non occorre più nemmeno scandalizzarsi. La rassegnazione priva il Popolo della sua volontà critica e apre la strada alla distrazione frutto del malcontento. Terreno fertile per l'odio.

L'antisemitismo di oggi non è meno pericoloso di quello di ieri. Se c'è qualcosa che l'Autore di questo romanzo ci chiede è di prestare attenzione ai particolari, di indagare con la volontà e la coscienza dei liberi pensatori, senza lasciarci indirizzare.

Ricordandoci che nessuno, nel 1930, credeva possibile quello che poi sarebbe accaduto.

«Il Mondo di ieri» è un romanzo scritto benissimo. Dal punto di vista espositivo è un elogio alla capacità introspettiva di dialogare con il lettore, offrendogli una grande passionalità. Ci sono passaggi straordinariamente pieni di emotività che veleggiano fra un realismo malinconico e un idealismo coraggioso.

Periodi intensi e coinvolgenti dai quali emerge la fierezza e la rettitudine.

«la mia gioia era sempre stata quella di dar forma, di plasmare, non il risultato. Non rimpiango perciò gli oggetti che ho posseduto un tempo. Perchè se noi, banditi e perseguitati, fummo costretti a imparare una nuova arte in questi tempi ostili o ogni arte, essa fu quella del saper dire addio a tutto ciò che una volta era stato il nostro orgoglio e il nostro amore (S. Zweig: “Il Mondo di ieri”).»

E' un buon punto di partenza per quanti vogliono conoscere e rispettare la cultura ebraica, svincolandosi dai luoghi comuni.

Consigliato a tutti. Per conoscere la verità, apprezzare la storia e cominciare il lungo, ma doveroso cammino del ricordo. Attraverso il quale a ciascuno, ebreo o meno, è richiesto di tenere viva la memoria dell'Olocausto affinchè quanto accaduto non si debba ripetere.

Marco Solferini
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martedì 14 gennaio 2014

Gli sdraiati

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Gli sdraiati

Autore: Michele Serra.
Genere: drammatico, attualità, commedia.

Un Michele Serra ispiratissimo ha scritto un ottimo romanzo.

L'Autore, noto al pubblico per via dei suoi precedenti scritti di successo e per la molto seguita rubrica «L'Amaca», pubblicata dal quotidiano «La Repubblica», apre la narrazione con una panoramica geniale e intuitiva dell'essere padre in rapporto all'oggetto sconosciuto del «figlio».

Alterna la narrazione di queste sue riflessioni, elegantemente presentate con periodi carichi di creatività, umorismo e provocazione, con un paradosso del futuro prossimo in quella che potrebbe definirsi una guerra tra i Vecchi e i Giovani.

Un Apocalisse morbida, inventata su misura per tracciare alcuni dei più noti e attuali paradigmi delle problematiche contemporanee. Fra cui l'invecchiamento della popolazione Europea e il mancato ricambio generazionale.

L'Autore non si risparmia facendo appello ad un umorismo dal sapore amaro con il quale frusta i luoghi comuni della società moderna come se volesse risvegliare le coscienze dei lettori.

Il suo altroquando è un campanello d'allarme formato Famiglia che ci indica quale drammatico disfacimento si sta consumando intorno a noi. Giorno dopo giorno. In quello che potremmo definire «l'adesso»: un macroscopico limbo della ragione, sopito in una coltre di distrazione e smarrimento.

Il padre invece, è un esploratore che stabilisce un legame empatico con il lettore, raccontandosi attraverso i suoi impedimenti e alcuni limiti dovuti all'affetto, a quel inenarrabile e personalissimo vincolo che è l'amore. Un condizionamento che ci rende ciechi, sordi, muti. Ci cambia con gli interrogativi che accettano di non trovare risposte. Ma non sopisce le riflessioni che scaturiscono dai desideri.

Serra è bravo, anzi bravissimo nello stupire il lettore con metafore, allegorie, frasi che sembrano algoritmi di una capacità visiva incardinata nelle sue parole a effetto. Un abile giocoliere di verbi e aggettivi. Un atleta dei paragoni. La cui esposizione è un piacevole quanto ammaliante tributo ad un eloquenza, un pò celebrativa in alcuni casi, che riporta al centro quel concetto di retorica che avrebbe dovuto appartenere alla dialettica.

L'Autore è abile a condizionare il lettore, operando con sapienza e garbo. Spesso ritorna sui temi affrontati per implementare il suo punto di vista come un aggiornamento al sistema operativo di pensiero che diventa così, magicamente, «open source».

C'è un senso logico, meticoloso, un pò nostalgico che serpeggia sullo sfondo e a tratti fa di un pizzico di malinconia virtù. Come se tutto sommato un assaggio di tristezza sia utile per farci sentire vivi, oltre i sorrisi dell'apparenza.

«Gli sdraiati» è l'ultimo romanzo di Michele Serra, ispiratissima penna contemporanea, autore di gran pregio che ci propone un testo decisamente accattivante, divertente e molto coinvolgente.

Per riflettere con un sorriso su quanto sia importante affrontare certi argomenti con serietà.

Consigliato a tutti.

Marco Solferini.
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giovedì 9 gennaio 2014

Il gioco di Ripper

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Il gioco di Ripper

Autore: Isabel Allende.
Genere: drammatico, thriller.

E' il 13 ottobre 2011 e la cronaca di San Francisco registra il ritrovamento di un cadavere in una scuola. Ed Stanton, impiegato, è stato ucciso e simbolicamente il suo aggressore gli ha conficcato una mazza da baseball nel retto.

La polizia indaga, ma non sono i soli.

Amanda è un adolescente molto sveglia con una passione tutta di famiglia per risolvere gli omicidi. A tale scopo si è inventata un gioco on line. Insieme ad altre persone si ritrovano e analizzano i fatti. S'immedesimano cioè nelle vesti di profiler. Non comuni però. Infatti, ciascuno dei partecipanti al gioco assume il nome e per certi versi le caratteristiche di un personaggio.

Il gioco di Ripper è composto dalla gitana Esmeralda, dal colonnello inglese Sir. Edmond Paddington, dalla sensitiva Abatha e dal detective Sherlock Holmes.

Sullo sfondo, le indagini sono facilitate dalla presenza di uno sbirro agli ordini della Maestra del gioco Amanda. Questi altri non è se non suo nonno, aspirante scrittore, vicino al padre di Amanda: Bob Martin, capo della sezione omicidi. Il quale è anche colui che segue da vicino le indagini non solo del caso di Stanton, ma di numerosi altri omicidi che si susseguono a distanza di poco tempo. In quello che sembra il disegno di una profezia di sangue che una nota sensitiva aveva pronosticato per la città di San Francisco.

Nel mentre, la vita della madre di Amanda, Indiana, è attraversate da una serie di eventi che riguardano la sua sfera privata, i suoi rapporti con il lavoro nel centro olistico dove pratica terapie di cura alternative e con gli amici / conoscenti che le ruotano intorno.

Fin quando non sparisce. Apparentemente senza lasciare tracce. Tale sparizione è forse collegata alla profezia di sangue di questo misterioso omicida? O la ragione è da ricercarsi nel suo arcipelago personale di amicizie e conoscenze?

Amanda non ha dubbi e gli unici che possono risolvere l'enigma sono i partecipanti al gioco di Ripper.

Romanzo indecifrabile, ripetitivo, eccessivamente lungo e dispersivo.

Una trama drammaticamente banale che ruota attorno ad una via di mezzo fra un R.P.G. on line (Role Playing Game) e il caro vecchio Cluedo da tavola. Lo svolgimento delle indagini è interamente nelle mani della polizia e per superare l'impasse dell'irrealistica possibilità di indagare a distanza, senza cioè essere parte di quegli indizi riservati agli investigatori, c'è uno sfruttamento costante del padre e del nonno di Amanda. Un train d'union del tutto funzionale a dare un senso alla trama che svuota completamente i due caratteri di qualunque personalità.

I 3/4 del romanzo sono incentrati sulla vita della madre di Amanda, Indiana, in quella che è una noiosissima elencazione del fatto che è una donna formosa e attraente, che ha amicizie sempre ambigue perchè sotto sotto attratte da lei e un rapporto conflittuale con il fidanzato apparentemente ricco, ma anche molto geloso.

Una serie di personaggi noti le ruotano intorno. Tutti cliché ben conosciuti e usurati, dall'ex. navy seal, all'artista new age che ama l'erba buona..

Questo personaggio femminile, che si barcamena fra un idea dello sciamanesimo quale stile di pensiero e una vita ancorata ad alcuni fondamenti degli ex figli dei fiori, è privo di fascino. Una bambola formosa le cui decisioni infastidiscono il lettore perchè prive di senso logico rispetto alla narrazione. La sua scomparsa arriva più o meno a cento pagine dalla fine del romanzo quando, con una ripetitività esasperante, tutti i protagonisti sono stati analizzati più che raccontati.

Il metodo espositivo è appesantito da continue ripetizioni di elementi visivi quasi a voler fotografare l'immagine immediatamente antecedente ad un azione. L'eccesso di aggettivi invece di definire l'ambito e focalizzare l'aspetto soggettivo della narrazione, pur se esterna, la trasforma in una sorta di riassunto.

Dal punto di vista narrativo c'è un eccesso di pagine e di periodi dedicati alla figura femminile di Indiana che non decolla mai. E' involuta. Epicentro di una serie di circostanze e fatti che ruotano in parte attorno al passato, mentre nel presente sono ancorate alla figlia Amanda il cui comportamento spesso la rende fastidiosa e per niente accattivante.

L'impostazione dei personaggi coprotagonisti è sbagliata in rapporto allo svolgimento narrativo. La presentazione degli stessi, antecedente ai fatti che si producono, è troppo lineare. Di fatto, il ritmo è quello di uno sceneggiato.

L'idea che probabilmente ha ispirato il romanzo stesso, cioè del gruppetto di giocatori a Ripper, è presentata ed esposta in maniera adolescenziale. Inutile cercare di imitare Sherlock Holmes o introdurre elementi esterni intuitivi attraverso altri membri del gioco. Anche se negli intenti forse c'era la volontà della scrittrice di creare un team alternativo sul quale poggiare un punto di vista meno pragmatico. Che fondesse cioè tecniche di indagine plurime.

«Il gioco di Ripper» è un romanzo poco interessante. Ritmo lento, appesantito da una storia banale che ruota attorno ad un idea sviluppata solo in parte. Complessivamente scarso.

Sconsigliato.

Marco Solferini
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martedì 7 gennaio 2014

Per dieci minuti.

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Per dieci minuti

Autore: Chiara Gamberale
Genere: drammatico, sentimentale, psicanalisi.

Essere lasciati improvvisamente dal proprio marito è una bruttissima esperienza.

Un viaggio d'affari e poi una vita nuova. Distante da quella donna che ti ha seguito nella grande città e che sprofonda in un periodo di difficoltà simile ad un limbo apparentemente senza fine.

Poche parole: lacunose spiegazioni tenute in fin di vita più da una multiforme speranza che insegue una mitologica verità. Simile ad un ubriaco che nella propria stanza buia palpeggia l'oscurità come un avido amante in cerca non della luce bensì dell'ultima bottiglia.

Chiara è rimasta sola con i sui persuasivi ricordi. Non riesce a scrivere, pensa. Ha perso il lavoro, pensa. Soffre nella sua intima fragilità, pensa.

Il suo stato d'animo la porta dalla psicologa che le propone un gioco: per trenta giorni consecutivi, 10 minuti al giorno, sperimentare qualcosa di nuovo.

E' l'inizio di un ciclo «dal fare». Tante piccole nuove esperienze. Dai pancake, al guardare un filmato porno, dal tentativo di palestra, a un piccolo furto.

Ogni capitolo racconta una di queste «cose nuove» e si aggancia all'evoluzione consapevole del suo stato d'animo introducendo il meccanismo decisionale che la porta a scegliere come impiegare questi 10 minuti.

Nel sottofondo, aleggia costante e imperturbabile la riproduzione, su carta, delle sue riflessioni. Simile ad una coltre di nebbia che avvolge, ammanta, silenzia la persona. Il proprio Io.

Tanto smarrimento e molti patemi d'animo.

Capitoli, dal punto di vista espositivo, tutti uguali. Un oligarchia di confusione determinata dal tentativo di voler esprimere molto per stabilire un rapporto empatico, quasi complice, con il lettore. Il risultato però, sono pensieri lunghi, frastagliati, dinamicamente caotici che sottopongono il lettore-ricevente a delle somministrazioni di aggettivi, sinonimi, metafore, allegorie, il tutto formato tsunami. Si crea per effetto una dispersione che non circoscrive l'azione del pensiero, blasfemo o realista che sia. Siamo di fronte ad un trasloco infinito di beni non catalogabili.

Anche l'organizzazione focale dello stile narrativo è la medesima: diffusione, poi assorbimento e tutto che ricomincia daccapo nel paragrafo successivo. A tratti si percepisce un moto di liberazione «stop & go» che però è così labirintico che ad ogni angolo si smarrisce.

Il costrutto di periodi lunghi e ripetitivi, nel tentativo rafforzativo, anzichè alimentare il senso visivo dell'immedesimazione sembra più un autoconvincimento emotivo della scrittrice che sentendo dentro di sé irrompere il «tanto» vuole di getto conficcarlo sulla carta attraverso una battitura incalzante, ma disordinata.

Il carattere telegrafico dei pensieri minimalisti, all'opposto, propone quale alternanza alle sue riflessioni escatologiche una realtà che irrompe nell'alveo delle ipotesi e degli altroquando, ma anche in questo caso il testo è affetto da una capacità visiva monca, menomata, trasognante.

L'assenza di realismo muove il lettore in una terra di nessuno dove tutto il probabile diventa possibile.

Tutto questo rivela lo spettro transitorio di una debolezza emotiva che sembra più un transfer compiuto a metà: un paradosso dell'essere e del non essere. Il risultato è un sentimento di malcontento quale residuo delle scelte che l'Autrice più volte cita. Malcontento che defunzionalizza l'Essere, lasciandosi dietro, per esclusione, una logica anoressica che si autolegittima oltre la soluzione.

Definitivamente, si percepisce più una debolezza intuitiva che formale.

Questi 10 minuti sembrano un espediente per fuoriuscire dal crogiolo giornaliero di autoasservimento emotivo. Di abbandono. La presa di consapevolezza cioè che la prigione entro la quale ci possiamo rinchiudere pur non avendo sbarre ce le costruiamo noi. Anche se invisibili. Un mallo quindi, all'interno del quale la sofferenza provoca il denutrimento dell'Io e la ripetizione diventa una facile coperta di Linus in cui rifugiarsi, ma nella quale non guarire. Il rischio è l'assuefazione con la conseguenza di somatizzare la convivenza con il dolore.

Il carattere gentilizio delle frequentazioni è troppo poco comune rispetto alla gente che legge. La vita dell'Autrice è diversa da quella di tanti altri e comunque beneficia di una notorietà che la rende distante dal lettore medio e come tale difficile da immedesimare.

La figura del Bambino è una riscoperta del Sè, meno contaminato dagli errori della crescita. Incontriamo lo sfogo materno della protezione e numerose altre icone note alla psicanalisi e alla sociologia.

Il finale è sconclusionato perchè troppo amorevolmente possibilista. C'è ancora tanta indeterminazione e molta, davvero troppa adolescenza. Siamo ai livelli delle canzoncine liceali che prima ti dicono quanto si possa soffrire poi ti propongono il ritornello dell'happy end come un regalone impacchettato con il fioccone colorato della speranza.

«10 minuti» è un romanzo a mio parere scadente che mi ha decisamente annoiato. L'ho trovato profondamente immaturo e con uno stile espositivo a tratti concitato, a volte opprimente, spesso fastidioso.

Sconsigliato.

Marco Solferini
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