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La colpa
Autrice: Lorenza Ghinelli
Genere: Drammatico.
Due ragazzi, Martino ed
Estefan. Due amici, con un passato traumatico ed inconfessabile alle
spalle. Due forme diverse di un alienazione psicologica che trae
origine da un fatto traumatico.
La loro frequentazione
nel mondo degli adolescenti, a cavallo con la maggiore età, in quel
periodo unico fine anni 90, speso fra argomenti tipici della vita di
tutti i giorni, con i suoi eccessi nello stile anticonformista e
ribelle, nel sesso come nell'amicizia, si mescola con la loro
complessa personalità.
Riusciranno a
sopravvivere a se stessi, affrontando le loro paure, rimanendo
legati, in quella simbiosi dell'amicizia che rassomiglia ad un legame
gemellare?
Cosa succederà quando
Martino ricorderà il trauma subito, nel sottofondo della musica dei
Clash?
Cosa accadrà, quando
Estefan incontrerà una bambina di nome Greta, di notte, in una
scorribanda, nella sua fattoria?
Questi eventi che
reazione scateneranno? E quale pacificazione riserverà la vita alle
vittime di una colpevolezza che appartiene al sospetto e all'inerme
assenza di reazione?
Ma sopratutto, possiamo
noi tutti, in quanto esseri pensanti, degni del libero arbitrio,
definirci come colpevoli delle nostre vicende personali? Qual il
limite simbiotico tra la vittima ed il carnefice. Dove finisce il
rimpianto insito nella sopportazione e comincia il riscatto della
personalità?
Dopo “Il divoratore”
ritroviamo un esposizione paratattica, nello sviluppo dei pensieri
che poggiano su parole il cui ruolo è, concettualmente, incostante:
alternato, intermittente, ma pressante come un inguaribile malattia
che contagia dalla prima all'ultima pagina.
Le affermazioni diventano
schegge egocentriche ed autoritarie, tese a realizzare un effetto
domino, attraverso il rafforzamento ripetitivo di singole emozioni
che l'Autrice rivisita, muovendo i termini come telecamere sul set di
una ripresa cinematografica.
Se la narrazione è
sterile, nel suo sviluppo esistenziale, il sentimento clinico che vi
si cela dietro, ritorna con pedissequa costanza. Il che associa, da
un lato la carica visiva della scrittura creativa, e nel contempo,
l'emotività intrinseca al tema introspettivo, che è poi l'oggetto
della narrazione, oltre i singoli fatti.
Una psicologia legata ad
aspetti sociologici.
Il trauma, come epicentro
di un universo sconosciuto, dove la materia oscura annida in ogni
angolo e l'uomo impara a coesistervi, nel presupposto di non potervi
rinunciare.
La centralità non
appartiene alla lotta, come riscatto del sé, bensì alla rinuncia,
che rimane ferma, immobile: statica fotografia di un momento eterno,
ripetuto con l'ossessione tipica delle sociopatie.
In quest'opera ritroviamo
maggiormente la sofisticazione della personalità tipica del motto di
Shakespeare nel celebre “essere o non essere”, piuttosto
che un argomentato dualismo di Socrate ed Antigone o una
contrapposizione logica tra Bacone ed Aristotele.
I protagonisti
dell'Autrice vivono un conflitto interiore, simile ad una matrioska,
perchè indagando se stessi, quando non si rifugiano nel rifiuto,
rivelano altre debolezze, somatizzate nel carattere: una sorta di
pregiudizio infinito che devia la strada maestra della vita e porta,
di tanto in tanto, la variabile del cammino ad intersecarla
nuovamente; perchè il futuro è in movimento e il destino conduce
spesso ad una sorta di parallelo.
Potrà sembrare curioso,
ma la principale assimilazione che mi sento di poter esprimere, su
questa tecnica espositiva e in particolare sul pathos che l'Autrice
propone, come una costola d'Adamo di se stessa, è rivolto al testo
di una celebre fisica statunitense, Lisa Randall: “Universi
paralleli”.
Lo stile emotivo
incontra, con la Ghinelli, una particolare metodologia narrativa,
sotto certuni aspetti più tipica di alcuni autori del Fumetto. Le
sue descrizioni sono frecciate dirette, con meno ambiente e più
concetto, rafforzato utilizzando luoghi comuni quali marchi,
artefatti, richiami ad altri sensi dominanti, come il gusto o
l'udito, attraverso cioé immagini viventi, e musiche orecchiabili
con la mente.
A momenti, quando eccede
in questo virtuosismo narrativo, la visione diventa underground, e
rassomiglia ad una via di mezzo fra un videoclip ed un cartone
animato anticonformista, di quelli che alcuni definiscono “per
adulti”. Questo aspetto può avere l'effetto positivo di
fidelizzare alcuni lettori al suo stile, ma corre anche il rischio di
allontanare chi preferisce un diverso standard.
L'emotività che la
scrittrice descrive, aiuta il lettore a calarsi nei panni
dell'ambiente circostante e degli eventi, attraverso aneddoti di
realismo puro: minimalisti come sono i dettagli, particolareggiati da
quei gesti che, così consueti, donano un peso specifico notevole,
alla già visiva immagine che si rinviene dalla lettura.
Per questo, quanto
l'Autrice calca la mano su determinate scene, corre il rischio di
urtare la sensibilità di quanti leggono. Specialmente su tematiche
ad alto impatto emotivo, che possono disturbare il lettore, in quanto
egli, a differenza dello spettatore, è più coinvolto
dall'immediatezza del veicolo scritto, meno cinematografico, e lavora
sempre di fantasia.
Del resto, non è
necessario esagerare per stupire, e non sempre lo stupore rivela poi
un gusto piacevole; a volte si smarrisce nel vortice delle tematiche
sopra le righe, un pò come i versetti di una canzone rap che si
trascina perdendosi nel mentre.
Il codice sorgente
dell'indagine introspettiva comportamentale di questo scritto è un
armata di numeri binari che diventano anarchici irresponsabili,
schiavi della loro immacolata perfezione. Si divertono a non
spiegare, pur rivelando la loro natura, come il gatto che si tiene a
debita distanza: così vicino eppure, nella sua inviolabilità, così
lontano.
Ciò accade perchè in
buona sostanza, non sfugge all'occhio più attento come gli eventi
narrati, intesi nella loro unicità, per quanto ben elaborati ed
esposti appartengono anche a dei cliché già ampiamente noti e
conosciuti, nella letteratura, cinema, televisione, fumetti.
Sterilizzati dal contorno, sono assai poco originali.
Il risultato è che il
lettore, sarà condotto per mano da un Virgilio che non gli permette
di vedere ciò che vuole dell'Inferno.
E questo ritengo sia il
più grave limite dell'opera, nella sua componente scientifica della metodologia psicodrammatica.
In quest'ottica, alcune
tinte forti, che certuni apprezzano, potrebbero non cogliere il
gradimento di un pubblico più impressionabile. E non per il
contenuto in sé, ma per quell'intrinseca anomalia imponderabile che
appartiene all'originalità di tutti noi.
“La colpa” è
un buon romanzo drammatico, con uno stile narrativo visivo e
intelligentemente organizzato. Sicuramente ben scritto anche se dal
ritmo meno incalzante e sorprendente rispetto a “Il divoratore”.
Paratattico, ottimamente concepito nella dialettica: realistica e
immediata. Un testo ambizioso, che affronta argomenti difficili,
calandoli nell'alveo (s)conosciuto dello psicodramma.
Marco Solferini