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La rivista culturale: "Il Salotto degli Autori" ( http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria "Carta e Penna"
Jakob
il bugiardo
Autore:
Jurek Becker.
Genere:
drammatico.
Nel
1943 la vita nel ghetto di Lodz in Polonia è un continuo ripetersi
di privazioni.
Un
insieme di inutili regole dettate per annullare la prospettiva della
quotidianità.
Una
maligna presenza di vincoli frutto dell'odio e della volontà di
annientare l'umano senso di civiltà. La storia ci ha tramandato
questa macchia indelebile di quanto vigliacca sia stata la
persecuzione contro gli ebrei.
«Il
non poter fare» era diventato lo strumento per una persecuzione
strisciante, ancora più invasiva della punizione stessa. Perchè
onnipresente. In ogni dove, quando e perchè. Nella società di oggi,
abituati ad una prospettiva di «fare» rivolta cioè a quello che
possiamo e per molti versi vorremmo ottenere è difficile comprendere
l'esatto opposto cioè l'infinita serie di preclusioni senza motivo
cui erano sottoposti gli ebrei. Tutti. Indistintamente.
Fra
le tante leggi della persecuzione c'era il coprifuoco.
Alle
20.00: senza esenzioni.
Jakob
però si è attardato e siccome gli è proibito avere un orologio
(l'ora appartiene ai tedeschi non agli ebrei nella logica malata del
ghetto) si orienta con la luce del sole e con le ombre della notte.
Una
guardia però lo sorprende e gli comunica che è troppo tardi per
andarsene in giro. Ha sbagliato. E inevitabilmente dev'essere punito.
Ben inteso, per questo errore potrebbe essere anche ucciso. Ma la
guardia preferisce comandargli, forse per schernirlo, di essere lui
stesso a domandare la punizione, pregando cioè l'ufficiale in
comando di applicargliela dopo aver ammesso la sua trasgressione.
Pertanto
Jakob si reca nell'ufficio dove rimane il Comando e qui, mentre cerca
la persona cui riferire i suoi tristi ordini, casualmente apprende un
dispaccio radio sull'avanzata dell'esercito sovietico.
Le
informazioni erano naturalmente proibite agli ebrei. La loro
esistenza del resto era considerata solo una parentesi in attesa
della «soluzione finale».
Il
significato era semplice: nessuna prospettiva, nessuna aspettativa.
Jakob
però ha un intuizione. E quando apprende di essere stato oggetto di
una semplice burla, un malsano umorismo in nero, per quanto riguarda
l'orario non essendo ancora arrivate le fatidiche 20.00 della sera
nel mentre che si affretta al ritorno a casa riflette su
quell'informazione.
Sul
suo valore, oltre il significato della notizia in sè.
Comincia
perciò a raccontare una storia ai suoi compagni di sventura, nel
ghetto, nel microcosmo della non vita.. una storia basata sull'idea
di possedere quelle informazioni proibite. Grazie ad una radio. Un
mezzo di comunicazione. Perchè la conoscenza è più che potere. E'
uno squarcio che perfora il mallo della bugia nazista.
Il
paradigma che annida nella scelta di Jakob è sostanzialmente quello
che è meglio una bugia che alimenta la speranza piuttosto di una
verità che la distrugge.
Jakob
quindi diventa portatore di speranza.
Nel
suo piccolo, in quel girone dell'inferno dantesco fatto di ossessioni
frutto dell'iracondia volontà di annichilimento. In un ghetto che
paradossalmente e spudoratamente si trova non lontano da chi,
all'opposto degli ebrei, ha il diritto di nascita di poter vivere.
Jakob crea un alternativa. E il fuoco della speranza divampa. Pur
nella membra stanche di chi non ha da mangiare o da bere, di chi non
conosce i principi più basilari dell'assistenza sanitaria o non ha
più il diritto alla proprietà privata, la speranza divampa.
Grazie
alla possente consapevolezza che c'è un mondo la fuori che reagisce
alla ragionata follia nazista.
Ed
esiste quindi la possibilità che la parola fine si avvicini ben
oltre il desiderio sussurrato da menti ancora tormentate, vessate,
impaurite, incatenate all'inferno costruito dagli uomini su misura
per testimoniare quanto la razza umana sia impietosamente colpevole
di un crimine senza eguali.
Ho
letto «Jakob il bugiardo» molti anni fa e ho ritenuto di
volerlo recensire per la sua intima semplicità nel riportare
concetti di così profonda complessità attraverso una storia vera e
commovente.
Non
sono mai stato un insegnante, ma se lo fossi stato, in particolare di
italiano o di storia per certo questo testo lo avrei consigliato ai
miei studenti.
Stimolante
per le definizioni, a tratti quasi eclettiche, degli scenari che
sembrano un pò fiabeschi con uno stile dark tipico dei fratelli
Grimm o di Conrad nel rendere quest'atmosfera di pesantezza
impenitente che poi si traduce in un pericolo immanente. Nel contempo
il narratore, che è terzo, cioè colui che ha conosciuto Jakob e ne
riporta le gesta, dipinge una realtà quasi al contrario, capovolta,
un mondo di Escher se vogliamo, dove ci si può addirittura uccidere
pur di non partecipare a questo circo degli orrori.
E
questi toccanti ricordi, sviscerati attraverso il paragone con ciò
che la realtà ambientale, la città stessa, era prima della
trasmutazione nel ghetto sembrano quel tocco di magia nera che manca
al teatro degli eventi dove va in scena la disperazione. Ma anche la
voglia di riscatto.
Ed
è questo il punto straordinario dell'esposizione, perchè da una
prima fase narrativa in cui tutto sembra avvolto dal decadimento
quasi come la corrente letteraria dell'800 c'è una sorta di riscatto
che parte dall'eroe più improbabile. L'uomo comune.
Un
coraggio eroico che da un gesto viene a delineare il fallimento della
macchina di morte nazista capace di uccidere solo il corpo, ma non la
mente.
Jakob
vince perchè la sua sottomissione è fallita.
Poca
importanza ha la punizione.
Le
implicazioni di un sotterfugio hanno abbattuto la matematica
efficienza della persecuzione. Soggiogata dalla strategia vincente
del baro che inganna con un prestigio la realtà circostante vincendo
su tutte quelle meticolose privazioni che diventano un banale quanto
temporaneo atto di umana pazzia.
Il
finale è visionario. Il romanzo comincia con le considerazioni sugli
alberi. Che nel ghetto sono proibiti e sulla malinconia che si prova
a non averli più accanto, a distanza di vista. Perchè il verde era
speranza di libertà contro il grigiore dell'appiattimento tipico
sinonimo di tristezza. Le loro fronde che non dispensano pila quiete
dell'ombra, ma che alla fine ritornano. In un viaggio. A bordo di un
treno che sfreccia verso il destino. Lasciando che a bordo qualcuno
possa rivedere quegli alberi. Forse per un ultima volta. Tanti
commentatori hanno ipotizzato che il viaggio finale altro non sia che
il trasferimento sui vagoni della morte dal ghetto al campo di
concentramento, ma non pochi hanno ipotizzato che in realtà fosse
semplicemente la fine preannunciata di una situazione che è come
l'evento compiuto. Il punto al termine della frase. Oltre la quale ci
sono di nuovo gli alberi.
«Jakob
il bugiardo» è un testo che unisce originalità narrativa ad un
pregevole espediente creativo affrontando un tema difficile cui noi
oggi siamo orgogliosamente chiamati al ricordo. Il libro è testimone
più che legittimo di una storia vera a vantaggio dei lettori che
nulla tolga al singolo, nell'intima conoscenza personale, e nel
contempo si riversa silenziosamente sulla collettività.
Perchè
è così che dal ricordo delle tante storie della Shoah nasce la
riflessione. Nel silenzio, come la bugia di Jakob. E forse è un
bene. Forse ci salverà, permettendoci di guardare oltre ciò che
vogliono mostrarci tra gli echi del passato e gli spettri del
presente.
Consigliato
a tutti (specialmente a chi, fa del negazionismo plausibile una
stravagante osservanza e dimentica che si può solo scegliere di
dimenticare non far finta di non ricordare).
Marco
Solferini.
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