sabato 25 ottobre 2014

Il cacciatore del buio

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Il cacciatore del buio

 Autore: Donato Carrisi
Genere: thriller

Marcus, il penitenziere di Roma, è sulle tracce di un serial killer che apparentemente uccide le sue vittime (delle coppie) dopo aver loro imposto un gioco mortale basato sulla menzogna del loro stesso amore.

Un colpo di pistola e un coltello piantato nello sterno. Questo sembra il suo biglietto da visita.

Da tempo però la sua opera non passa inosservata e per quanto assurdo possa apparentemente sembrare, l'omicida è protetto da chi cerca di far sparire le prove dei suoi crimini.

Per una casualità l'agente Sandra Vega, esperta di fotorilevazione, chiamata ad immortalare con i propri scatti la scena del crimine scoprirà l'agghiacciante verità che sembra condurre ad un complotto che costa la vita al medico legale incaricato di effettuare le analisi sui corpi delle vittime

La sua brillante intuizione le garantisce l'ingresso nella squadra speciale agli ordini del vicequestore Moro che indaga sui serial killer.

Tuttavia, le dinamiche di questi omicidi sembrano andare ben oltre la psiche di un singolo, celando un segreto dentro il mistero. Sul quale indaga anche Marcus perchè una setta satanista potrebbe essere alla radice della genesi di questo mostro.

Per mettere insieme i tasselli e scoprire la verità sarà necessario rivelare l'identità del bambino di sale e dell'uomo con la testa di lupo. Due enigmi. Due misteri che sconvolgeranno le indagini e proietteranno l'ombra del male niente di meno che nel cuore stesso del Vaticano.

Dopo il successo de «Il tribunale delle anime», torna l'esperta di fotorilevazioni Sandra Vega e il penitenziere Marcus. Stessa indagine, strade e metodologie diverse, dal cui intreccio scaturiscono le svolte narrative che scandiscono il ritmo di questa indagine.

Francamente mi aspettavo di più.

Sopratutto perchè questo romanzo è firmato da Donato Carrisi, l'ormai celebrissimo autore de «Il suggeritore».

Nelle prime 70 pagine ho rilevato un eccesso di particolari che spesso invece di essere descrittivi decadono nella semplice nozionistica, a tratti meramente espositiva se non addirittura turistica con riferimento ai luoghi. L'esposizione descrittiva ambientale incardinata nel nesso (con lo sviluppo) della narrazione si basa su canoni di condiscendenza e contorno: il primo argomentato a favore della logica espositiva e quindi dello sviluppo narrativo, il secondo avente carattere prevalentemente descrittivo. Se, come accade, l'aggiunta del particolare diventa semplicemente un contorno, quest'ultimo non solo è scadente, ma appesantisce il nucleo portante della trama, specialmente in una fase in cui (siamo agli inizi) sarebbe più opportuno stabilire il parametro della cifra narrativa e del suo ritmo.

Il romanzo successivamente migliora. In particolare lo stile di Carrisi emerge nella seconda parte. Decisamente più coinvolgente e giocata sul doppio binario del mistero - indagine sul mostro omicidiario.

«Quello che fino ad allora era stato solo un brutto presentimento cominciava a prendere le sembianze di un mostro di dolore». Tratto da «Il cacciatore del buio» di Donato Carrisi, ed. Longanesi.

Tuttavia, essendo che ci troviamo di fronte ad un secondo capitolo, praticamente con gli stessi personaggi della serie iniziata con «Il tribunale delle anime» mi sarei atteso un approfondimento con annessa evoluzione dei personaggi invece quest'ultimi latitano sui medesimi stati d'animo. Marcus è oggetto di riflessioni che sono un patema emotivo, un crogiolo di emozioni riciclate, un costrutto larvale, un archetipo le cui 24 ore di vita giornaliere paiono assorbite da identiche dosi di emozioni costrittive e penitenti. Esagerato.

Le ipotesi deduttive di Marcus oggettivamente sono deboli. La sua anamnesi circostanziale è parecchio lacunosa. Certamente non pretendo un deduzione stile Sir Arthur Conan Doyle ne tantomeno un confronto fra metodi Baconiani o Aristotelici, ma in fatto e a ben guardare il lettore potrà facilmente comprendere che l'analisi dei particolari e dei comportamenti da cui si deduce la presenza del male è spesso «forzata» nel senso che ben potrebbero esserci altre spiegazioni e per effetto l'aggiustamento, a mò di spiegazione, che arriva puntale sembra più voler convincere il lettore della genialità di questa deduzione invece di concentrarsi sulla sua plausibilità. Che rimane vacante.

«Il male è quell'anomalia davanti agli occhi di tutti ma che nessuno riesce a vedere». Tratto da «Il cacciatore del buio» di Donato Carrisi, ed. Longanesi.

Per quanto riguarda l'attività di Sandra Vega mi è parso di calarmi sul set di CSI sceneggiato da Kathy Reichs o Patricia Cornwell: non è necessario raccontare un manuale sulla fotorilevazione peraltro già sviscerato nel precedente romanzo.

Per converso c'è una sapiente esposizione della routine lavorativa e di rapporti personali. Trattasi di elementi molto completi che denotano un tocco di persuasivo realismo e la cui focalizzazione temporale aiuta moltissimo nella separazione cronologica del tempo in cui si svolge l'indagine accompagnata ai misteri del suo sviluppo.

«Anche se potrà sembrarvi strano, non c'è odio nelle sue azioni. E' diligente, scrupoloso. Mettetevi in testa che questo è il suo lavoro e lo fa maledettamente bene». Tratto da «Il cacciatore del buio» di Donato Carrisi, ed. Longanesi.

In pratica, assistiamo ad un meccanismo a scatole cinesi, laddove ad un mistero se ne sostituisce un altro che comporta non solo una rivelazione, ma un nuovo accattivante presentimento. In questa gestione del climax l'Autore è molto convincente.

La caratterizzazione evolutiva del serial killer è come già in precedenti scritti ottima anche se c'è parecchia manualistica da criminologia intesa come materia di studio. La qual cosa potrebbe essere normale, ci sono Autori che seguono il medesimo iter (fra questi merita di essere citato Jean Christophe Grangè), il problema è che a tratti sembra non sia la trama ad essere nata prima del serial killer bensì l'opposto. Cioè che l'Autore abbia selezionato anzitutto il suo mostro di Frankenstein e attorno a questo abbia costruito la trama. Del resto anche i serial killer corrispondono a delle caratteristiche che riguardano tanto la patologia di cui sono affetti quanto il modus operandi. Strutturare la trama in virtù del genere di serial che si è scelto è più facile che fare l'opposto e da un Autore di gran pregio come questo, mi sento legittimato ad attendermi altro. Sopratutto di più innovativo.

«..crede fermamente nel valore delle fiabe: dice che sono lo specchio più fedele della natura umana. Se togli i cattivi dalle fiabe, non sono più divertenti, l'hai mani notato? A nessuno piacerebbe una storia con i soli buoni». Tratto da «Il cacciatore del buio» di Donato Carrisi, ed. Longanesi.

L'elemento fiabesco proposto nel corso del romanzo è accattivante ma molto, fin troppo superficiale. Sembra più il frutto di un intuizione cui agganciare un modello utile a coinvolgere i lettori più adulti. Ci si riferisce evidentemente ai contenuti delle fiabe dei fratelli Grimm (non a caso i riferimenti) che però, chiunque ne conosca la storia sa bene che originariamente fiabe non erano. Bensì racconti popolari e come tali fatti e voluti per concepire una via di mezzo tra la leggenda e l'agire quotidiano: un monito quindi a quel che di cattivo il mondo può offrire. In quest'ottica numerosissimi Autori hanno scritto ampi trattati sugli elementi favolistici dei fratelli Grimm. Ma altrettanto non si potrebbe sostenere altrove e per diversi Autori di favole la cui struttura è diversa e distinta.

«Un freddo intenso era calato sulla campagna e sembrava avesse ibernato ogni cosa, perfino i suoni. L'aria era immobile e tutto era sospeso. Il penitenziere provò un profondo senso di solitudine, come chi si trova a dover affrontare ciò che si cela oltre la propria morte. A pochi metri da lui c'era il passaggio per entrare in un mondo segreto, lontano degli occhi della gente comune». Tratto da «Il cacciatore del buio» di Donato Carrisi, ed. Longanesi.

Ci sono due finali in questo romanzo.

Uno è quello della trama principale e dell'iterazione tra i protagonisti Marcus e Sandra (una sorta di coppia in stile «Tredicesimo apostolo» che unisce il sacro - mistico - esoterico con il profano della scienza) e l'altro che riguarda invece la persona e l'indagine cognitiva / introspettiva di Marcus alle radici della propria organizzazione dei penitenzieri. Il primo finale mi è parso intelligente e ben sviluppato specialmente grazie alla doppia trama che rivela il male dietro l'assassino, quindi la natura storica del complotto con uno stile alla Dario Argento; l'altro invece l'ho trovato di una banalità disarmante. Un epilogo che sembra il preludio ad una sorta di sequel in stile «Silenzio degli innocenti» con un Marcus ancora di più in una fase embrionale, schiavizzato tra il volere ed il dovere e a contatto con un «lato oscuro» del Vaticano (che non è la Chiesa, in questo l'Autore è abile ad evitare confondimenti) basato sulla natura del bene nella religione che onestamente mi ha fatto immediatamente pensare a Dan Brown per la presenza di confraternite e «poteri nel potere» che si muovono attraverso i palazzi apostolici.

Ottimi i dialoghi, sicuramente capaci di fagocitare la scena, ruminarla e riproporla empaticamente al lettore con una fruibilità argomentata attraverso frasi vissute (linguaggio della «working class») ed elementi di elaborata conformità caratteriale ben indirizzati a distinguere l'indole dei personaggi protagonisti e non. Il confronto dialettico prelude quasi sempre alla svolta narrativa il che alimenta una tensione narrativa che dopo le prime 70 pagine è costante e spesso in crescendo.

«Abbiamo nascosto il diavolo all'umanità, come si nasconde lo sporco sotto un tappeto. Per ottenere cosa? Abbiamo assolto Dio dai suoi peccati solo per assolvere noi stessi. E un atto di grande egoismo non credi?» Tratto da «Il cacciatore del buio» di Donato Carrisi, ed. Nord.

Giova osservare che di una parte delle osservazioni svolte in questa critica, forse l'Autore è anche consapevole giacchè in chiusura del romanzo c'è una «conversazione con l'Autore» la quale tuttavia non rivela chi sia a porgli le domande (normalmente si scrive) e dove è lo stesso Carrisi che cita alcuni riferimenti proprio al suo studio nella criminologia, alla tesi di laurea.

La mia sensazione è che questo romanzo abbia visto un imponente opera di adattamento da parte di un editor o di un ghost writer o di un agenzia letteraria (sopratutto le prime 70 pagine, fermo restando che non è un demerito, ma è noto come questi interventi siano privi di anima e spesso standardizzati) e che pur collocandosi temporalmente dopo il successo de «Il tribunale delle anime», la sua concezione sia nata prima, magari come opera a se stante.

«Il cacciatore del buio» è un buon romanzo nel suo complesso, ma da un Autore come Donato Carrisi io mi aspetto molto di più.

Consigliato a chi legge tutti i romanzi di questo Autore, a chi «adora» il genere thriller (c'è sicuramente di molto peggio in circolazione) e a chi interessano gli argomenti affrontati.

Sconsigliato a chi vuole leggere per la prima volta un opera di Carrisi (optate piuttosto per il «Suggeritore» e «l'Ipotesi del Male»).

Marco Solferini.
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