L'EDITORIALE APOCRIFO di MARCO SOLFERINI
Le
agenzie del lavoro ovvero il metodo del dottor «chi ha avuto ha
avuto, chi ha dato a dato»
L'art.
1 della nostra Costituzione recita: «L'Italia è una Repubblica
fondata sul lavoro».
Vien
subito da pensare che data la scarsa applicazione pratica del primo
articolo non meraviglia che pure gli altri vadano maluccio.
Cosa
volete, se la premessa è questa è comprensibile che quando si
arriva al punto in cui ci si occupa del Governo e del Presidente
della Repubblica vengono rispettati al limite le virgole, i punti e
magari, ad andar bene, gli spazi fra le parole.
Un pò
di tempo fa però qualcuno leggendo l'art. 1 ha avuto un
illuminazione, insomma ha visto la luce in stile Jim Belushi in "Blues
Brothers". Era l'allora giuslavorista Marco Biagi il quale prendendo
spunto da quanto accadeva in Francia propose di introdurre anche in
Italia la c.d. “somministrazione di lavoro”.
Già
il termine è di per sé inquietante: sembra uscito da un episodio di
American Horror Story ma nel 2003, diventava legge, la c.d. Legge Biagi con lo scopo di innovare il settore, nel
senso che toglieva di mezzo (e si sostituiva) al precedente
“pacchetto” Treu (altro giuslavorista) che nel 1997 aveva
introdotto in Italia il c.d. lavoro interinale.
In
pratica, il concetto ispiratore era che siccome trovare lavoro
diventava sempre più difficile bisognava renderlo sempre più
flessibile. Un po' come prescrivere una pillola di cianuro per curare
una persona depressa. In un certo senso il problema lo risolve..
Siccome
il “pacchetto” Treu era un po' troppo deboluccio quanto a "soluzioni alternative" ci ha pensato
la Legge Biagi che ha letteralmente aperto le porte ad una piccola
enciclopedia di contratti di lavoro.
Ne
sono cioè arrivati di tutti i gusti, meglio che in gelateria e tutti
rigorosamente a tempo determinato: un arcipelago di contratti che a
prima vista sembravano un paradiso come le Maldive per chi cercava lavoro ma che in
pratica di paradisiaco, a distanza di una decina d'anni, avevano ben poco.. anzi si
sono rivelati un vero e proprio girone dell'inferno Dantesco.
Di
fatto però le agenzie del lavoro hanno avuto un vero e proprio
«boom» peggio di quelli che fa un fondamentalista quando decide di farsi saltare in aria.
Oggi
infatti in giro ci sono quasi più agenzie (formato negozio) per chi
cerca lavoro che sigarette elettriche per chi vuole smettere di
fumare.
Il che
dovrebbe farci ben sperare: avremo il lavoro e non moriremo di
tumore. Se ci sente la Disney diventiamo una favola meglio di
Biancaneve. Ma attenzione perchè la mela avvelenata è dietro
l'angolo.
Premesso
che molto spesso «noi» quando vogliamo proporre / introdurre
qualcosa usiamo l'affermazione: «faremo come» in Francia, oppure in
Germania. Insomma copiamo. Nel presupposto che altrove le cose vadano meglio e siccome lo facciamo in continuazione di
questo passo esauriremo le alternative e arriveremo probabilmente a dichiarare, prima o poi, «faremo come» a Timbuktù o alle Hawaii dove se non altro diceva er Monnezza «lo prendi e lo
dai». Il che mi sembra più in linea con l'Italico stile quando si tratta di lavoro.
Da
notare che all'estero invece si è affermata la tendenza opposta.
Infatti non è insolito sentire l'affermazione: «attenzione a non
fare come in Italia».
Ma
poco importa, si può essere esempi anche in negativo. Sul punto però a volte ho la sensazione che noi poi
abbiamo deciso di aggiudicarci il Guinnes dei primati.
Insomma,
il buon Marco Biagi è il c.d. papà delle agenzie del lavoro.
Certo
è in buona compagnia, ce n'è infatti uno per la bomba atomica, un
altro per il gas nervino e via dicendo. Del resto hanno in comune che sono tutte armi di
distruzione di massa.
I
morti ammazzati poi sono Santi subito: non passano nemmeno attraverso
il processo di beatificazione. Purtroppo il Biagi è stato vittima
del terrorismo made in Italy o meglio di quel che restava.
Quando
uno muore non lo critica più nessuno, anzi tutti lo lodano.
Se la
vita fosse un fumetto assisteremmo a decine di persone che pensano
con la tipica nuvoletta: «era un gran...» ma poi affermano frasi
infarcite di espressioni come: «statura morale», «onesta
intellettuale», ecc. ecc.
Tanto
per capirci, è un pò come quando leggiamo che un tizio è impazzito
e ha sterminato un pò di gente perché magari l'autobus non si è
fermato, il bombolone alla crema era poco ripieno o il giornale era
spiegazzato. Il cronista di turno va dai vicini ad intervistarli e
loro dichiarano: «persona tranquilla, riservata che mai e poi mai ha
dato segnali di squilibrio».
Quindi,
a ben guardare abbiamo un giuslavorista che ha introdotto un
meccanismo del mercato del lavoro copiandolo da quello che accadeva
in Francia (l'ultima volta che l'abbiamo fatto a Bologna abbiamo
portato a casa un suppostone formato Famiglia di nome «Civis») e
che poi è purtroppo morto in circostanze peraltro tragiche.
In un
paese come il nostro, dove per fare carriera occorre imparare a far
d'ipocrisia virtù chi mai si sognerebbe di alzarsi in stile Paolo
Villaggio dopo la celebre corazzata kotiomkin e dichiarare: «per me
le agenzie del lavoro sono una kagata pazzesca?»
Ovviamente
nessuno.
O
almeno di quelli che contano e vengono ascoltati.
Eh si
perchè in realtà a pensare che le agenzie del lavoro siano una
grandissima presa per i fondelli ci sono diversi milioni d'Italiani
che ogni giorno ne hanno prova tangibile, ma il problema è che la
democrazia attualmente in vigore è più o meno quella che c'era
all'epoca del Ré Sole e quindi c'è uguaglianza nel senso che
non conta niente nessuno.
Provate
a chiedervi: quanta gente conoscete che si sia rivolta ad un agenzia
del lavoro e abbia trovato questa pietra filosofale moderna del
sacrosanto impiego?
Provate
anche per un attimo a porvi altri due quesiti, ma tanto per sport,
giusto per non annoiare i neuroni la domenica pomeriggio:
1)
Com'è possibile che nelle città, dove il tasso di disoccupazione
degli under 35 si aggira intorno al 36% e sale ad oltre il 50%
considerando i precari cioè quelli che non sanno di che morte devono
morire, com'è possibile ci siano qualcosa come 80 o 90 diverse
agenzie del lavoro?
2) Se
l'anno scorso sono stati licenziati in tutta Italia oltre un milione
di lavoratori com'è realisticamente possibile che le agenzie aumentino e abbiano sempre queste bacheche piene
d'offerte (che per inciso alcune sono ogni tanto quasi identiche le une
alle altre.. ma in fondo c'è “solo” qualche km di distanza dalla
sede di un agenzia all'altra)?
Guardando quelle vetrine sembra
che siano quasi disperati a tal punto da non trovare nessuno da assumere!
Nelle
agenzie infatti ci si sente molto spesso dire che le ricerche ci
sono, anzi le “selezioni”, che è un termine più elegante (del
resto oggi trovare lavoro è un pò come vincere una fascia di Miss.
Italia) quindi le “selezioni” sarebbero anche in corso, ma le
professionalità non si trovano!
Il che
è un pò come andare in un villaggio del terzo mondo fra gente che
muore di fame e dirgli che il cibo c'è, solo che non trovano il
cuoco per cucinarglielo!
Però
andare presso un agenzia può essere anche un esperienza
gratificante.
Quando
entri per esempio trovi quasi sempre un ambiente accogliente. Hanno
pure le poltroncine. In banca raramente ci sono: te ne stai amabilmente in
piedi. Il che significa che le agenzie del lavoro ci vogliono più
bene dei banchieri che è tutto un dire. Come recita il proverbio:
chi ben comincia..
Non
solo, ma nove volte su dieci c'è un gran bella ragazza pronta ad
accoglierti con un sorriso che sembra dire: «io il lavoro ce l'ho
perché nell'agenzia ci lavoro e se vuoi avere una chance cerca di
convincermi che sei almeno simpatico».
Insomma,
è l'occasione d'oro per tutti i maschi se non altro per passare un
quarto d'ora con una ragazza che vi darà tutta o quasi la sua
attenzione, fingendo al meglio che gliene importi qualcosa.
Moltiplicate il tutto per oltre 50 agenzie e alla fine se non è un
piccolo harem poco ci manca. Poi lo
sapete che è il pensiero che conta e di quello vi dovrete
accontentare.
Consolatevi: se non altro non vi è costato come quelle quattro banali chiacchiere
che fate nei locali quando per avere la sua attenzione vi tocca
offrirgli da bere e la Lei di turno passa dalla bottiglia d'acqua
naturale al Mojito da 8 euro, cogliendo la palla al balzo che manco
Michael Jordan in «fly» era capace di fare.
Quindi siete lì, nell'agenzia, ben vestiti, con questa teenager che sembra uscita da un
provino di Penthouse o “barely legal” e che vi guarda, vi sorride
quasi comprensiva, e ad un certo punto con mossa sperimentata vi
sottopone un foglietto di carta cioè la dichiarazione dei diritti
umani del lavoratore: il curriculum.
Si
proprio lui!
Quell'oggetto
fra il mitico ed il mitologico che vi scervellate per compilare nel
modo migliore: né troppo lungo né troppo corto, con o senza lettera
di presentazione, in formato europeo o meno.
Manco
doveste imparare a giocare a scacchi!
Lei
invece vi da quel rettangolino prestampato dove non c'è nemmeno lo
spazio per una posta elettronica troppo lunga e vi dice di
compilarlo. Poi se ne va.
Mediamente
ci metterete 15 minuti, se vi sbagliate o lo volete correggere,
quando glielo dite quasi sempre la signorina vi replicherà «non ha
importanza».
E'
gratificante sentirselo dire. E' un modo come un altro farvi capire
che la tavola è già apparecchiata ed i posti assegnati.
A
questo punto vi farà qualche domanda tipo che ambizioni lavorative
avete o che tipo di contratto volete. Insomma roba seria, per
professionisti, gente che non a caso lavora nelle «risorse umane» e
certamente avrà fatto una riunione per decidere questo approccio
conoscitivo. Se questa gente la prestavamo alla Cia, Bin Laden lo
avrebbero trovato in poco meno di una settimana.
Dopodiché
è tutto finito.
Il
vostro curriculum sarà inserito nel database: questa entità
sconosciuta, una via di mezzo fra il vitello d'oro e il grande
fratello di Orwell.
Da
quel momento in poi potete solo aspettare la telefonata.
In
alcuni casi invece, siccome c'è la ricerca di un profilo in essere, se volete
partecipare alla selezione, allora vi candidate. Siccome queste
ragazze hanno tanto lavoro da fare, lo potete fare solo on line.
Internet del resto ci ha migliorato la vita, cosa vi credete? Potete (o meglio dovete) inviate la candidatura comodamente seduti davanti allo scatolone
telematico domestico o in una biblioteca pubblica. Poco importa se
sembrate pescatori che non hanno mai visto un pesce in vita loro e
pensano che il branzino sia una divinità Indù.
Le
selezioni sono stupende: non sapete chi è il mandante, come si
svolgono, e quali saranno gli esisti.
In
altre parole avete più informazioni utili sui numeri che giocate al
superenalotto.
Se
provate a protestare non siete più simpatici e come tali vi siete
giocati la pagnotta al primo round: ko tecnico e arrivederci alla
prossima volta.
Mai
mettere in discussione il lavoro di questi «recruiters».
Ebbene
si, loro si chiamano con una parola importata direttamente
d'oltremanica.
Già
quando il termine è in inglese solitamente la fregatura è in
agguato. Vengono subito alla mente i professionisti della finanza
creativa che usavano tutte queste sigle e queste parolone
angloamericane per fregare tutto e tutti.
Il
termine anglosassone infatti suggerisce professionalità e
competenza.
Poco
importa se poi la selezione è su mandato dell'impresa Officine
Pozzi, il titolare della quale parla inglese limitatamente ai nomi
dei giocatori di calcio della Premier League e se gli si dice: “sono
un «recruiter»” ti risponde: «non mi interessano le offerte
commerciali».
Il
recruiter non è soltanto all'occorrenza un gran gnocca, no è anche
una persona seria. Insomma non è mica come Rosy Bindi, più bella che
intelligente.
Questo sistema è così elastico che non ci sono alternative. Il classico prendere o lasciare. Non vi resta quindi che prendere un pò di vasellina per soddisfarvi nel
modo meno doloroso possibile.
Ogni
tanto poi, la ragazzina di turno non è nemmeno Italiana. Quindi
arrivi tu con una laurea, quarantaquattro master, corsi di lingue,
superkazzole varie e stai lì a guardare questa che non riesce
nemmeno a coniugare il congiuntivo o che magari mentre gli parli
squilla il telefono e risponde a qualcuno in una lingua che tu
credevi morta da qualche secolo.
Ma che
cosa fanno esattamente questi semidei dei «recruiters»? Su Facebook o
Linkedin hanno migliaia di contatti, roba che se pubblicano un post
con scritto «vado al bagno» trovano centinaia di persone disposte a
mettere mi piace.
Le
persone che dovrebbero trovarti un lavoro passano le giornata ad
inserire curriculum on line.
Un
compito difficilissimo.
Occorre
una precisione pazzesca.
Nemmeno
un missile Patriot svolge un ruolo così difficile.
I
«recruiters» escono da queste agenzie stremati dopo una giornata di
lavoro veramente massacrante. L'INPS ha già proposto i pellegrinaggi
a Lourdes, ed è in arrivo una manovra bis per lo sgravio fiscale,
qualcuno vorrebbe aiutarli perlomeno dandogli una pensione
parametrata a quella del Presidente della Corte Costituzionale. Ci
sono delle Onlus che si sono proposte dopo la “spesa amica” a
casa di chi non arriva a fine mese (cioè gente iscritta da 10 anni
alle agenzie del lavoro) di portare ai “recruiters” delle creme
corpo, del gommage, dell'acqua purificante, insomma qualcosa di più
del caffè.
Ultimamente
poi c'è un pò di crisi e qualche agenzia ha avuto dei problemi. In
pratica c'è il rischio che i “recruiters” debbano cercare a loro
volta lavoro.
Per
questo le agenzie devono dimostrare di essere utili e l'unico modo è dimostrare di avere tanti iscritti.
Guarda
caso di tanto in tanto escono queste selezioni che cominciano tutte
con «prestigiosa società» o «importante società» o «gruppo»
addirittura «primario istituto di credito».
La
cosa sorprendente è che queste selezioni, di cui più o meno si
hanno le stesse informazioni circa l'attuale stato d'esplorazione del
suolo marziano, riguardano soggetti di quelle fasce più disoccupate
possibili e immaginabili. Cioè i portatori sani di lauree che più generaliste non
si può. Tipo giurisprudenza. E improvvisamente tu sottoposto e
infelice vedi il miraggio dell'ufficio legale della multinazionale o
della banca. Le poltrone in pelle umana, le piante di ficus,
l'acquario dei dipendenti.
Tutto
lì: a portata di mano.
E
allora tu provi.
E la
società del lavoro che quasi sempre bandisce una selezione del
genere all'anno, si trova con qualcosa come diecimila curriculum in
più.
E tu
invece, caro il mio Antonio La Quaglia sei lì come un ebete, come
quando cercavi di recitare la poesia delle scuole elementari. Senti
un dolorino alle natiche, quell'impercettibile difficoltà a stare
seduto come se ti ci volesse un cuscino sotto e ti ripeti
silenziosamente, come diceva il Principe di Capri: «ccà nisciuno è
fesso».
Articolo
a cura di Marco Solferini
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