domenica 15 settembre 2013

I ragazzi Burgess

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I ragazzi Burgess

Autore: Elisabeth Strout.
Genere: drammatico.



Shirley Falls è una piccola città nel Maine, dove è cresciuta la famiglia Burgess.

Gente apparentemente comune, che però ha sempre fatto notizia attraverso il passapararola. In particolare, i tre fratelli: Bob, Jim e Susan. Complice sopratutto un fatto di sangue, una tragedia verificatasi quando erano ancora dei bambini. Un incidente infatti, causato da Bob all'età di appena 4 anni, costò la vita al padre. Schiacciato sotto il peso dell'automobile.

Un dramma. Che ha segnato profondamente ed in modo indelebile la vita dei fratelli.

E passato molto tempo, più di 50 anni.

Ognuno di loro si è costruito una vita, fatta di vittorie e sconfitte.

Ciascuno vive il microcosmo di azioni e personalismi, confrontandosi con il passato nell'ottica di un presente spesso costretto da regole non scritte. Da un agire che sembra sterilizzato, quasi meccanico, certamente freddo rispetto a quel sapore caldo, intenso, tipico del «nuovo». Dell'inaspettato.

Tutto finchè il figlio 19enne di Susan, un ragazzo introverso, chiuso, apparentemente solitario, scostante, compie un gesto inconsulto. Getta la testa mozzata di un maiale in una moschea frequentata prevalentemente da somali mussulmani. Nel periodo, fra l'altro, del Ramadan.

L'eco mediatico che assume il gesto si amplifica giorno dopo giorno. Un onda che si trasforma in uno tsunami perchè diventa la proverbiale goccia che fa traboccare il bicchiere di una comunità cresciuta nel tempo, quella dei somali, verso la quale a Shirley Falls c'è stato un percorso di integrazione molto difficoltoso, a tratti forzato, ma sempre influenzato dall'incomprensione.

La diffidenza da una parte, la rabbia dall'altra. Nel mezzo quello che diventa un crimine d'odio. Un processo quindi, per un reato serio, con implicazioni profonde. Contestato a una persona che forse è destinata a diventare il capro espiatorio di un giustizialismo che esige vendetta.

Susan chiama in aiuto i fratelli. Sopratutto Jim che è uno degli Avvocati di maggior successo di New York. Il primo della classe in tutto, dalla borsa di studio ad Harward in avanti. Solo che lui e sua moglie Helen stanno per partire per una breve vacanza in compagnia di uno dei soci anziani dello Studio dove lavora Jim e della sua consorte. Un viaggio irrinunciabile.

Per questo si fa avanti Bob, che invece è un legale mediocre, pedissequamente vissuto all'ombra del grande e famoso fratello. Un sempliciotto animato da buoni intenti. Un uomo superficiale. Capace di essere inadatto. Tanto nell'agire quanto nel riflettere. Animato da buone intenzioni si recherà a Shirley Falls, per offrire il proprio sostegno a Susan in quello che sarà un viaggio dove tante questioni in sospeso troveranno una risposta. Perchè la vita prima o poi presenta sempre il conto.



Scritto in maniera impeccabile, l'Autrice dimostra di meritare i prestigiosi premi che le sono stati giustamente tributati.

Uno stile espositivo che punta direttamente a scoperchiare le emozioni con un senso del pudore freddo e preciso simile a un bisturi, laddove vengono alla luce come uno stupro emotivo.

L'esposizione narrativa di quest'Autrice è stata qualificata spesso come elegante, gentile cordiale e sinonimi vari. Io ritengo che dimostri, all'opposto, una prepotenza ed una violenza recondita paragonabile alla possanza del mare che si prepara a scaricare la sua furia in uno tsunami irresistibile.

Questo per quanto riguarda l'aspetto psicologico. Sopratutto il costrutto sociologico comportamentale dei protagonisti, attraverso la creazione complessa e meticolosa del dettaglio che definisce l'anima stessa della personalità.

Mentre è certamente cordiale e gentile nell'elegante esposizione degli ambienti. Sembra che descriva un quadro. La scena non è in movimento, bensì statica. Muove i pensieri, ma fotografa e circostanzia il campo dell'azione. Lo spiega con un anamnesi poetica che preferisce il realismo alla metafora. Di grande impatto visivo.

Ho particolarmente apprezzato il sottoparagrafo dove ha descritto Central Park (New York) ed il locale frequentato dai turisti. Altresì magistrale il sottoparagrafo dove analizza i contenuti dell'incomprensione culturale. Perfetto, sintetico, intenso.

I tre fratelli sono archetipi. Portatori sani di caratteristiche del carattere fossilizzate dopo la maturazione della crescita. La loro esteriorizzazione si basa sulla somatizzazione del conflitto interiore. Tutti tranne Bob.

Non a caso gli altri due si reggono su di un «emanazione".

Una progenie narrativa che serve all'Autrice per non trasformare il romanzo in un opera di sociologia o psicologia comportamentale e nel contempo poter raccontare i contenuti dei suoi protagonisti.

Jim (il superuomo del «problem solving», pragmatico e talentuoso) ha come emanazione la moglie Helen. Susan (il determinismo decisionista, caparbio e paratattico) ha come emanazione il figlio Zachary.

L'utilizzo di queste emanazioni serve, come le cavie in laboratorio, per costruire la meccanica con la quale viene smontato, confutato e infine messo in crisi il mondo degli archetipi.

Si parte dal concetto di «prigioniero», di «gabbia senza sbarre», in una realtà che è claustrofobica e trasmette una sensazione forte di assorbimento, con l'aggiunta di un innominato desiderio di evasione. In questo c'è proprio la prepotenza emotiva e psicologica che certamente identifica molti lettori ed è cercata dall'Autrice.

Il dilemma esistenziale che ci viene proposto è un mix tra l'annullamento (sentirsi cioè come l'acqua che scivola via dalla vasca, desiderosa di scomparire portando con sè lo sporco) e la ricerca di uno spazio creativo (per rivalutare il proprio Io, anche ritrovando il Bambino che è dentro di noi).

Bob invece è l'antieroe. Non ha bisogno di emanazioni. Perchè non è maturato. E' fermo. E' Bob: colui che osserva ai margini la vita che scorre..

Se Susan ha Zachary che è ingestibile, incomprensibile, con il padre che è andato via, con la madre che sente il peso genitoriale delle presunte colpe per aver cresciuto un ragazzo così «difficile», Jim ha la sua Helen che è la spalla, la confidente, l'amica tollerante, la moglie che si sacrifica, con la sopportazione, per esaltare le virtù del marito di successo, un pò come una predestinata ad incarnare il modo di dire che dietro ad un grande uomo c'è una grande donna.

Bob rappresenta la critica agli schemi invasivi del preconcetto e dei luoghi comuni (di cui soffrono, anzi dei quali sono schiavi sia Jim che Susan). La pecora nera della famiglia è un giovane Holden che non è cresciuto. Il suo microcosmo di convinzioni è quello di chi osserva senza essere partecipe. Quindi un osservatore colpevole perchè Bob vorrebbe interagire solo che non riesce, anzi crea danni.

Bob è un pò come quelle persone che pensano sempre al domani eppure se lo ritrovano il giorno dopo diverso da come se l'erano immaginato.

Questo romanzo parla alle persone insicure che soffrono di un conflitto interiore perchè si rifiutano di affrontare i problemi confrontandosi con la realtà laddove si sentono insicuri, incompresi. Hanno paura, ma non del prossimo, bensì di se stessi: di non essere in grado di assumere un ruolo. Per loro la mediocrità è fonte di sofferenza, ma nel contempo è un rifugio sicuro che non vogliono veramente lasciare. Preferendo convivere con la sofferenza. A tal punto da ingannare se stessi cercando persino di rifuggirla o di curarla. Quando veramente non vogliono. Sono gli eterni incompiuti che fantasticano sulla loro originalità interiore, pur non avendola mai veramente incontrata e meno ancora sviluppata.

In quest'ottica non meraviglia il grande successo dell'Autrice perchè la società moderna e ancor più le città sono piene di persone che subiscono gli effetti di questo stato d'animo. Specialmente nella fascia che va dai 40 ai 50 anni. Un target di pubblico che in quest'opera trova inevitabilmente dei riferimenti. Ma non sono troppo certo che ne percepisca anche il manierismo introspettivo. Laddove spesso il lettore ripudia l'autocritica.

Il genio dell'Autrice è stato costruire un domino di eventi che portano il lettore a somatizzare il fatto che se l'alternativa è essere Jim, Susan, o peggio ancora Helen (praticamente una Nora da «Casa di Ibsen» che si sveglia tardi) allora persino un Bob può andar bene. In fondo è lui che offre comprensione, che non fa mistero della sua negligenza. Alla fine è il collante di una nuova realtà partorita dalle rivelazioni sul passato e da un equilibrio ritrovato fra i caratteri principali che rifiutano la finzione per una realtà dove il diverso non è così drammatico come si poteva immaginare. Il riscatto finale è un abile stoccata verso un target di pubblico che non potrà non gradire.

Viceversa, ho trovato interessantissimo il personaggio di Abdikarim, cioè uno dei somali presenti in moschea quando avviene il fatto. Un uomo attraversato da una profonda crisi esistenziale dovuta ad un passato drammatico fatto di dolore, paura, repressione. Ed è proprio lui che da vittima si erge a paladino. Scoperchia le incomprensioni della legge americana basata sul binomio azione - reazione. Leggi che non vogliono partire dal presupposto dell'integrazione, ma dal peso politico che la comunità assume. Sono delle semplici conquiste prive di significato. Sono vuote. Paradossalmente è la vittima a confutare il sistema che vuole proteggerlo. Dall'ira iniziale, è lui, Abdikarim che capisce che quello di Zachary non era un gesto d'odio, ma una bravata fatta da una persona che non sapeva cosa stava facendo. Il c.d. crimine d'odio che viene contestato al ragazzo è qualcosa di completamente diverso che apre al classico scenario dove la cura è peggiore del male. Ed è tutto basato sull'incomprensione.



I dialoghi sono la contestualizzazione dei fatti in rapporto alle caratteristiche introspettive dei ricordi che sembrano il dna del carattere presente. Uno schema un pò ripetitivo. Quasi sempre i protagonisti arrivano a disquisire dei fatti contemporanei, passando attraverso il ricordo di eventi del passato. A partire dal «Libro terzo» questa scelta appare un pò prolissa anche perchè i fatti salienti trovano uno svolgimento e le tematiche si orientano altrove. Praticamente dopo il processo, con le conseguenze. Pertanto i dialoghi che sono sempre perfetti nel costrutto logico e amabilmente discorsivi, avrebbero potuto «osare» un pò di più. Ciò accade solo con Jim, ma a tratti. Del resto lui è una bomba ad orologeria.

«I ragazzi Burgess» è un ottimo romanzo. Dal punto di vista qualitativo rappresenta una stesura di assoluto pregio. Stilisticamente impeccabile. Un dramma senza riserve che affronta tematiche profonde, contemporanee, in modo realista e con una grande carica introspettiva.

Marco Solferini
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