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I
ragazzi Burgess
Autore:
Elisabeth Strout.
Genere:
drammatico.
Shirley
Falls è una piccola città nel Maine, dove è cresciuta la famiglia
Burgess.
Gente
apparentemente comune, che però ha sempre fatto notizia attraverso
il passapararola. In particolare, i tre fratelli: Bob, Jim e Susan.
Complice sopratutto un fatto di sangue, una tragedia verificatasi
quando erano ancora dei bambini. Un incidente infatti, causato da Bob
all'età di appena 4 anni, costò la vita al padre. Schiacciato sotto
il peso dell'automobile.
Un
dramma. Che ha segnato profondamente ed in modo indelebile la vita
dei fratelli.
E
passato molto tempo, più di 50 anni.
Ognuno
di loro si è costruito una vita, fatta di vittorie e sconfitte.
Ciascuno
vive il microcosmo di azioni e personalismi, confrontandosi con il
passato nell'ottica di un presente spesso costretto da regole non
scritte. Da un agire che sembra sterilizzato, quasi meccanico,
certamente freddo rispetto a quel sapore caldo, intenso, tipico del
«nuovo». Dell'inaspettato.
Tutto
finchè il figlio 19enne di Susan, un ragazzo introverso, chiuso,
apparentemente solitario, scostante, compie un gesto inconsulto.
Getta la testa mozzata di un maiale in una moschea frequentata
prevalentemente da somali mussulmani. Nel periodo, fra l'altro, del
Ramadan.
L'eco
mediatico che assume il gesto si amplifica giorno dopo giorno. Un
onda che si trasforma in uno tsunami perchè diventa la proverbiale
goccia che fa traboccare il bicchiere di una comunità cresciuta nel
tempo, quella dei somali, verso la quale a Shirley Falls c'è stato
un percorso di integrazione molto difficoltoso, a tratti forzato, ma
sempre influenzato dall'incomprensione.
La
diffidenza da una parte, la rabbia dall'altra. Nel mezzo quello che
diventa un crimine d'odio. Un processo quindi, per un reato serio,
con implicazioni profonde. Contestato a una persona che forse è
destinata a diventare il capro espiatorio di un giustizialismo che
esige vendetta.
Susan
chiama in aiuto i fratelli. Sopratutto Jim che è uno degli Avvocati
di maggior successo di New York. Il primo della classe in tutto,
dalla borsa di studio ad Harward in avanti. Solo che lui e sua moglie
Helen stanno per partire per una breve vacanza in compagnia di uno
dei soci anziani dello Studio dove lavora Jim e della sua consorte.
Un viaggio irrinunciabile.
Per
questo si fa avanti Bob, che invece è un legale mediocre,
pedissequamente vissuto all'ombra del grande e famoso fratello. Un
sempliciotto animato da buoni intenti. Un uomo superficiale. Capace
di essere inadatto. Tanto nell'agire quanto nel riflettere. Animato
da buone intenzioni si recherà a Shirley Falls, per offrire il
proprio sostegno a Susan in quello che sarà un viaggio dove tante
questioni in sospeso troveranno una risposta. Perchè la vita prima o
poi presenta sempre il conto.
Scritto
in maniera impeccabile, l'Autrice dimostra di meritare i prestigiosi
premi che le sono stati giustamente tributati.
Uno
stile espositivo che punta direttamente a scoperchiare le emozioni
con un senso del pudore freddo e preciso simile a un bisturi, laddove
vengono alla luce come uno stupro emotivo.
L'esposizione
narrativa di quest'Autrice è stata qualificata spesso come elegante,
gentile cordiale e sinonimi vari. Io ritengo che dimostri,
all'opposto, una prepotenza ed una violenza recondita paragonabile
alla possanza del mare che si prepara a scaricare la sua furia in uno
tsunami irresistibile.
Questo
per quanto riguarda l'aspetto psicologico. Sopratutto il costrutto
sociologico comportamentale dei protagonisti, attraverso la creazione
complessa e meticolosa del dettaglio che definisce l'anima stessa
della personalità.
Mentre
è certamente cordiale e gentile nell'elegante esposizione degli
ambienti. Sembra che descriva un quadro. La scena non è in
movimento, bensì statica. Muove i pensieri, ma fotografa e
circostanzia il campo dell'azione. Lo spiega con un anamnesi poetica
che preferisce il realismo alla metafora. Di grande impatto visivo.
Ho
particolarmente apprezzato il sottoparagrafo dove ha descritto
Central Park (New York) ed il locale frequentato dai turisti. Altresì
magistrale il sottoparagrafo dove analizza i contenuti
dell'incomprensione culturale. Perfetto, sintetico, intenso.
I tre
fratelli sono archetipi. Portatori sani di caratteristiche del
carattere fossilizzate dopo la maturazione della crescita. La loro
esteriorizzazione si basa sulla somatizzazione del conflitto
interiore. Tutti tranne Bob.
Non a
caso gli altri due si reggono su di un «emanazione".
Una
progenie narrativa che serve all'Autrice per non trasformare il
romanzo in un opera di sociologia o psicologia comportamentale e nel
contempo poter raccontare i contenuti dei suoi protagonisti.
Jim
(il superuomo del «problem solving», pragmatico e talentuoso) ha
come emanazione la moglie Helen. Susan (il determinismo decisionista,
caparbio e paratattico) ha come emanazione il figlio Zachary.
L'utilizzo
di queste emanazioni serve, come le cavie in laboratorio, per
costruire la meccanica con la quale viene smontato, confutato e
infine messo in crisi il mondo degli archetipi.
Si
parte dal concetto di «prigioniero», di «gabbia senza sbarre», in
una realtà che è claustrofobica e trasmette una sensazione forte di
assorbimento, con l'aggiunta di un innominato desiderio di evasione.
In questo c'è proprio la prepotenza emotiva e psicologica che
certamente identifica molti lettori ed è cercata dall'Autrice.
Il
dilemma esistenziale che ci viene proposto è un mix tra
l'annullamento (sentirsi cioè come l'acqua che scivola via dalla
vasca, desiderosa di scomparire portando con sè lo sporco) e la
ricerca di uno spazio creativo (per rivalutare il proprio Io, anche
ritrovando il Bambino che è dentro di noi).
Bob
invece è l'antieroe. Non ha bisogno di emanazioni. Perchè non è
maturato. E' fermo. E' Bob: colui che osserva ai margini la vita che
scorre..
Se
Susan ha Zachary che è ingestibile, incomprensibile, con il padre
che è andato via, con la madre che sente il peso genitoriale delle
presunte colpe per aver cresciuto un ragazzo così «difficile», Jim
ha la sua Helen che è la spalla, la confidente, l'amica tollerante,
la moglie che si sacrifica, con la sopportazione, per esaltare le
virtù del marito di successo, un pò come una predestinata ad
incarnare il modo di dire che dietro ad un grande uomo c'è una
grande donna.
Bob
rappresenta la critica agli schemi invasivi del preconcetto e dei
luoghi comuni (di cui soffrono, anzi dei quali sono schiavi sia Jim
che Susan). La pecora nera della famiglia è un giovane Holden che
non è cresciuto. Il suo microcosmo di convinzioni è quello di chi
osserva senza essere partecipe. Quindi un osservatore colpevole
perchè Bob vorrebbe interagire solo che non riesce, anzi crea danni.
Bob è
un pò come quelle persone che pensano sempre al domani eppure se lo
ritrovano il giorno dopo diverso da come se l'erano immaginato.
Questo
romanzo parla alle persone insicure che soffrono di un conflitto
interiore perchè si rifiutano di affrontare i problemi
confrontandosi con la realtà laddove si sentono insicuri,
incompresi. Hanno paura, ma non del prossimo, bensì di se stessi: di
non essere in grado di assumere un ruolo. Per loro la mediocrità è
fonte di sofferenza, ma nel contempo è un rifugio sicuro che non
vogliono veramente lasciare. Preferendo convivere con la sofferenza.
A tal punto da ingannare se stessi cercando persino di rifuggirla o
di curarla. Quando veramente non vogliono. Sono gli eterni incompiuti
che fantasticano sulla loro originalità interiore, pur non avendola
mai veramente incontrata e meno ancora sviluppata.
In
quest'ottica non meraviglia il grande successo dell'Autrice perchè
la società moderna e ancor più le città sono piene di persone che
subiscono gli effetti di questo stato d'animo. Specialmente nella
fascia che va dai 40 ai 50 anni. Un target di pubblico che in
quest'opera trova inevitabilmente dei riferimenti. Ma non sono troppo
certo che ne percepisca anche il manierismo introspettivo. Laddove
spesso il lettore ripudia l'autocritica.
Il
genio dell'Autrice è stato costruire un domino di eventi che portano
il lettore a somatizzare il fatto che se l'alternativa è essere Jim,
Susan, o peggio ancora Helen (praticamente una Nora da «Casa di
Ibsen» che si sveglia tardi) allora persino un Bob può andar bene.
In fondo è lui che offre comprensione, che non fa mistero della sua
negligenza. Alla fine è il collante di una nuova realtà partorita
dalle rivelazioni sul passato e da un equilibrio ritrovato fra i
caratteri principali che rifiutano la finzione per una realtà dove
il diverso non è così drammatico come si poteva immaginare. Il
riscatto finale è un abile stoccata verso un target di pubblico che
non potrà non gradire.
Viceversa,
ho trovato interessantissimo il personaggio di Abdikarim, cioè uno
dei somali presenti in moschea quando avviene il fatto. Un uomo
attraversato da una profonda crisi esistenziale dovuta ad un passato
drammatico fatto di dolore, paura, repressione. Ed è proprio lui che
da vittima si erge a paladino. Scoperchia le incomprensioni della
legge americana basata sul binomio azione - reazione. Leggi che non
vogliono partire dal presupposto dell'integrazione, ma dal peso
politico che la comunità assume. Sono delle semplici conquiste prive
di significato. Sono vuote. Paradossalmente è la vittima a confutare
il sistema che vuole proteggerlo. Dall'ira iniziale, è lui,
Abdikarim che capisce che quello di Zachary non era un gesto d'odio,
ma una bravata fatta da una persona che non sapeva cosa stava
facendo. Il c.d. crimine d'odio che viene contestato al ragazzo è
qualcosa di completamente diverso che apre al classico scenario dove
la cura è peggiore del male. Ed è tutto basato sull'incomprensione.
I
dialoghi sono la contestualizzazione dei fatti in rapporto alle
caratteristiche introspettive dei ricordi che sembrano il dna del
carattere presente. Uno schema un pò ripetitivo. Quasi sempre i
protagonisti arrivano a disquisire dei fatti contemporanei, passando
attraverso il ricordo di eventi del passato. A partire dal «Libro
terzo» questa scelta appare un pò prolissa anche perchè i fatti
salienti trovano uno svolgimento e le tematiche si orientano altrove.
Praticamente dopo il processo, con le conseguenze. Pertanto i
dialoghi che sono sempre perfetti nel costrutto logico e amabilmente
discorsivi, avrebbero potuto «osare» un pò di più. Ciò accade
solo con Jim, ma a tratti. Del resto lui è una bomba ad orologeria.
«I
ragazzi Burgess» è un ottimo romanzo. Dal punto di vista
qualitativo rappresenta una stesura di assoluto pregio.
Stilisticamente impeccabile. Un dramma senza riserve che affronta
tematiche profonde, contemporanee, in modo realista e con una grande
carica introspettiva.
Marco
Solferini
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