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Violazione
Autore: Alessandra
Sarchi.
Genere: Drammatico.
Romanzo ambientato a
Bologna. La storia è quella di due coppie, marito e moglie, l'una
abbiente come genericamente viene intesa la ricchezza, poggia i
propri averi sull'attività imprenditoriale di Primo Draghi, vero e
proprio “pater familias”, e proprietario di una fattoria
nel complesso residenziale “I cinque pini”, nonché di una
seconda struttura, in affitto, a mò di podere, anch'essa poco fuori
il centro città, a 6 km da quello che sembra un altro mondo rispetto
alla campagna, con le sue regole, usi e costumi.
L'altra coppia, Alberto e
Linda Donelli, entrambi benestanti, desiderosi di cambiare casa per
andare a vivere nel “mitico” verde. Desiderato, ricercato,
idealizzato.
Alberto e sua moglie,
sono una coppia al giro di boa, di mezz'età; hanno fatto ciò che la
società civile si aspetta da quelle persone il cui percorso di vita
ad un certo punto spinge verso il matrimonio, come tappa obbligata
agli “step” di carriera, nel settore pubblico come
funzionario della Regione, lui e in quello medico, in qualità di
ricercatrice, lei.
La casa è per loro un
traguardo ulteriore, quasi il coronamento di un ciclo vitale:
l'ultima pennellata del dipinto o il pezzo mancante del puzzle, per
questo rappresenta un alveo di desiderio misto al realismo di una
ricerca, a tratti destinata ad essere imperfetta. Come se ciò che
effettivamente esistesse nelle loro teste, fosse l'intenzione, che
non si concretizza.
Abituati a convivere con
questa idea, la scoperta di una casa in vendita, come quella nella
residenza di Primo apre ad un universo inesplorato, al quale si
avvicinano con un ritrovato senso di desiderio verso il cambiamento.
Fungendo da catalizzatore
quindi, il possibile acquisto li fa dapprima conoscere e
successivamente avvicina due mondi, naturalizzati nelle loro
differenze.
L'Autrice centralizza con
una retorica compensativa lo spazio vitale che, apparentemente, deve
esistere fra due forme mentali e comportamentali, distinte.
Il personaggio più
elaborato e per molti versi il vero protagonista è l'imprenditore
Primo, i cui principali aspetti caratteriali, ricalcano quella tipica
visione “dell'animal spirit”: arrivista, cinico, ipocrita,
forte di convincimenti fossilizzati nella sua personalità, meno
artificiosa e più fedele ai punti di forza che gli hanno permesso di
emergere nella giungla urbana.
Gli fanno da contraltare
le debolezze degli altri personaggi, i quali vengono sciorinati con
una metafisica sociologica, fatta di desideri e paure. In buona
sostanza sono i volontari carnefici che, nella loro pedissequa
ingenuità voluta, alimentano il mercato di Primo, il quale sembra
una tacita conseguenza della loro superficialità e distrazione.
Le occasioni non mancano
per apprezzare questa contrapposizione, ma sono decisamente troppo
ricamate su un alter ego stereotipato e banale. Le scelte dei
protagonisti paiono il frutto di un copione già scritto, ampiamente
prevedibile. Inoltre la dialettica comportamentale svilisce, nella
ripetitività ossessiva di preconcetti.
Il lettore è
intrappolato in una sorta di museo delle cere che al limite stupisce
ed incuriosisce nel singolo istante, ma poi si smarrisce in un arte
troppo effimera e meno contemplativa delle sfaccettature umane. Il
senso di smarrimento irresponsabile che si percepisce dalla lettura,
si relativizza in una sorta di malnutrizione concettuale.
I singoli ambienti, dove
si svolge questa narrazione, sono ricchi di un decadimento fatalista
ed esistenziale, quasi corrosivo e per molti versi disfattista,
perchè rinunciatario a qualsivoglia riscatto.
Le circostanze che si
producono sembrano parentesi paradossali, inseguite con una
pedissequa elencazione di concetti simili ad ossimori morenti, cui è
difficile porre la debita attenzione, limitandosi ad una blanda
elencazione di frasi e momenti infiniti, che si ricalcano, volendo
sembrare un labirinto, mentre nella realistica sensazione di chi
legge non appassionano, bensì annoiano.
Troppo lungo e troppo
ripetitivo: una costante (ri)elaborazione per arrivare ad un concetto
di fondo assai semplicistico e per nulla innovativo.
Onestamente, le tematiche
affrontate quali le collusioni oramai assai note, fra i dirigenti
della Regione con gli imprenditori locali, le permute di favori a mò
di scambio, tra l'arrivismo del capitalista e le necessità di chi
opera nel settore pubblico, sono all'ordine del giorno e non serve un
romanzo per apprenderle, basta un quotidiano.
Inoltre, simili
fattispecie, già si verificavano all'epoca dei “nostri” Romani,
tanto nella Repubblica quanto nell'Impero, e come tale non pare
verosimile che occorra oggi rielaborare la tematica in una chiave
civica, cioè volendo enucleare il malvezzo come parte integrante di
una normalità deviata.
Lo sappiamo già.
La cultura della coppia
di Alberto e sua moglie è credibile nella stiracchiata amoralità
emotiva, un sedativo per l'identità di coppia che si abbandona a
tratti più rituali, come una prassi feticista, la cui adorazione
consiste nell'accettazione di crismi quotidiani. Però, nel ruolo che
è chiamata a svolgere per il lettore, come cavo catodico di
quell'immagine che deve arrivare perchè rappresenta il messaggio di
fondo del romanzo, risulta molto lontana se non addirittura
inarrivabile, rispetto alla “working class” Bolognese.
Questa coppia sembra lo
stereotipo di un francesismo, tipicamente organizzato del microcosmo
casa - famiglia - frequentazioni - prole. Un archetipo assai noto, ma
non così sviluppato, spesso anzi, riservato ad una borghesia di
mezzo.
Si percepisce il senso di
chiusura, e di superficialità, a tratti di voluto e consapevole
smarrimento nel non saper tornare a vivere con gli occhi della mente,
ma non è credibile. Non prende forma, non vive, rimane lì, sulle
pagine del romanzo immortalato nell'inchiostro e il lettore al limite
potrà arrivare a pensare che da qualche parte ha conosciuto qualcuno
di simile.
E la sensazione è
proprio questa che cioé l'Autrice si sia basata, nella descrizione,
su persone che effettivamente ha conosciuto, ma che forse ha anche
profondamente incompreso, perchè la trasposizione letteraria è
semplicemente penalizzante, stucchevole e per effetto non appassiona
il lettore, invertendone il senso critico.
Ci sono troppe pagine: lo
scritto sarebbe dovuto essere sfoltito e reso più omogeneo e
scorrevole, razionalizzando, innovando, donando cioè un percorso
formativo a tutti questi caratteri, che invece muoiono esattamente
come nascono.
La contrapposizione fra
città, o meglio centro città, perchè Bologna vive una radicata
distinzione fra quartieri che non è assimilabile a quella di grandi
metropoli, e campagna, intesa come sotto - colli e gli stessi,
celebri, colli Bolognesi, non regge.
Sembra estrapolata più
da una cultura “new age” dello scorso secolo, rapportata a
quel “suburb” tipicamente anglo sassone, dove accanto al
centro cittadino, vive e per molti versi sopravvive, una oasi, che
non è campagna e non è città. La via di mezzo. L'alternativa. Il
luogo dove sono cresciute e solidificate le comunità del “verde”.
Ma a Bologna questo non
si mai realmente accaduto.
Prima di tutto perchè la
distanza fisica dal verde è assai limitata, e tutti i Bolognesi con
il motorino prima e con la macchina poi, adorano trascorrere i
pomeriggi e i fine settimana nelle nostre campagne, che non sono
sconosciute, bensì amichevoli e aperte a tutti.
Inoltre, la città stessa
è costellata da piccoli e medi comuni, si pensi a Casalecchio di
Reno o San Lazzaro, e molti altri ancora che, se osservati con
attenzione, magari anche dall'alto di un “Google Earth”,
riveleranno, per estensione e attaccatura alla città, come possono
benissimo considerarsi quello che, in grandi metropoli, sono i
quartieri. Non abbiamo, in Bologna, Lambrate come a Milano, ma
potrebbe benissimo esserlo un Comune limitrofo. E non a caso, oggi si
parla di città metropolitana.
Nell'ottica della
scrittrice la “city” sembra molto più popolata, ma in
verità parliamo di un Comune che, negli ultimi anni, ha subito un
decremento demografico, non verso la campagna, ma verso Comuni
limitrofi, quasi sempre dovuto ad una scelta sulla qualità della
vita.
Interessante e pregevole
lo spunto ambientalista, più volte riportato nel testo, a
salvaguardia in parte del paesaggio e in altra misura dei prodotti
che la terra ci offre.
L'esposizione da il
meglio di sé per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, e in
particolare architettonici, ma che probabilmente non appassionano più
di tanto il pubblico medio, a meno che l'attesa non sia rivolta a
persone piacevolmente interessate o comunque istruite sulla materia.
I co-protagonisti,
purtroppo, sono tragicamente artificiosi, veri e propri stereotipi di
una semplice immagine del sé, che va dal giovane immigrato
irregolare (passando dalla servetta di casa che viene “profanata” dal
padrone), una delle cui figlie è l'ingenua amicona del cuore.
L'evoluzione, come pure il finale delle loro vicende e relazioni, è
scontato, un vero e proprio domino di cliché comuni, la cui
spiegazione non coinvolge e non ammalia.
“Violazione” è
un romanzo scarso, poco interessante e significativamente involuto, i
cui contenuti non decollano e lasciano il lettore in un limbo di
ossessivo trascinamento, perso fra pensieri e parole che non
appassionano. Una trama banale e poco coinvolgente si risolve in un
romanzo prevalentemente noioso.
Marco Solferini